Il Macbeth operistico ideato e diretto dal sudafricano Brett Bailey è uno spettacolo bellissimo, un capolavoro di idee registiche e di adattamento che lascia lo spettatore pieno di entusiasmo, a dimostrazione di un livello di ospiti stranieri in generale davvero alto per questo Napoli Teatro Festival 2016.
Tutto funziona in questo Macbeth riletto in chiave africana e che trasporta la storia di sangue dalla Scozia al contesto contemporaneo del Congo in preda alla guerra civile, ai signori della guerra, alle lobby economiche internazionali che trasformano una delle terre più ricche del mondo per risorsi in uno dei paesi più poveri. Funzionano i tagli al teso originale (di Shakespeare e di Boito-Verdi), la durata, le splendide interpretazioni di tutti, la scenografie, le scelte registiche, la musica dal vivo. E lo spettatore, a fine rappresentazione, si rende conto di non aver assistito ad un solo Macbeth, ma a quattro versioni insieme che si completano e allo stesso tempo hanno una loro autonomia: nello spettacolo di Brailey assistiamo a Shakespeare, ma anche a Verdi (arrangiato da Farbizio Cassol). E ancora a un Macbeth tipicamente africano, con un inserimento funzionale, appena accennato, ma sufficiente, di musica e danza africana al momento dell’uccisione di Banquo. E ancora a un Macbeth riscritto, che possiamo leggere nei sovratitoli, che rappresentano un vero colpo di genio. I sovratitoli, infatti, non corrispondono infatti al testo cantato, ma ne rappresentano una reinterpretazione e riscrittura, diventando in tal modo una parte “artistica” ulteriore ed essenziale nel godimento dello spettacolo. Si pensi a come la lettera che Lady Macbeth legge si trasformi in un semplice sms: “Cara, incontrato le streghe. Dicono che sarò re. Cazzo”.
Ciò che Brailey realizza è uno spettacolo che è stilizzato, grottesco, estremamente pop, ma allo stesso tempo realistico, perché si percepisce, anche con una sagacie scelta di fotografie, il dramma reale di un continente in preda a signori della guerra e a imprenditori senza scrupoli(e le tre streghe sono di fatti investitori internazionali). Con alcune scene e sequenze davvero forti, come bambini di colore (ovviamente bambole) scaraventati a terra.
Perfetti, come si diceva, gli interpreti e gli esecutori, con i dieci cantanti d’opera che sono veri rifugiati provenienti da quelle zone del Congo, e i musicisti della “No Borders Orchestra” diretta da Premil Petrovic.