Come già l’anno scorso, mi soffermo brevemente sulla serata di nomination de “Le Maschere del Teatro”, principale premio teatrale italiano, fondato ormai 14 anni fa a Vicenza da Luca De Fusco e Maurizio Giammusso (allora gli “Olimpici del Teatro”) e da qualche tempo a Napoli. Serata che ha avuto luogo presso il Teatro Mercadante lunedì 6 giugno. Non mi soffermo sulle singole terne e sulle categorie. A breve, infatti, il nome di chi è in lizza per la serata dell’8 settembre (in diretta Rai) sarà tranquillamente disponibile su molti altri siti e testate. Per la cronaca, nella categoria miglior spettacolo dell’anno vi sono l’Orestea di De Fusco, La morte di Danton diretto da Mario Martone e Sei personaggi in cerca d’autore per la regia di Gabriele Lavia.
Quello che mi interessa è, ancora una volta, il meccanismo che porta alle terne. La serata di nomination, infatti, va letteralmente in scena sul palco del Mercadante con la giuria di 11 componenti presieduta da Gianni Letta che discute, si anima e propone davanti a un pubblico. Si precisa come lo “spettacolo” delle nomination sia per un pubblico di esperti e addetti ai lavori. Ciò non toglie che il meccanismo sul palco risulti a volte un po’ troppo caotico, problematico da seguire, seppure di grande interesse. La conta dei voti, ad esempio, appare molto più semplice dalla platea che sul palco. Ma chi è in platea ovviamente non più interagire con la commissione.
Cosa resta al di là dei nomi prescelti? Sicuramente esclusi eccellenti come Imma Villa per Scannasurice nella categoria “miglior monologo”, certezze (o quasi) come Mariano Rigillo protagonista per Lear La storia, (relativamente) lunghe discussioni come quella su Umberto Orsini attore protagonista o non.
E personalmente una domanda: se è vero, come afferma il segretario del Premio Giamusso, che il modello è in fin dei conti quello degli Oscar americani, e se è vero anche che ormai molte produzioni estere trovano normalmente spazio nei cartelloni dei teatri italiani, non sarebbe il caso di pensare anche a una categoria per il “Miglior spettacolo straniero presentato in Italia”? Peter Brook e Valery Fokin, ad esempio, avrebbero il loro meritato spazio.