Il titolo è criptico e bellissimo. Il testo altrettanto (con qualche piccola sbavatura). Inizio subito in quarta, ammettendo che lo spettacolo La riunificazione delle due Coree di Joël Pommerat, uno dei più interessanti autori contemporanei, mi ha conquistato davvero.
L’opera era già stata ospite del Napoli Teatro Festival 2013 nella sua versione originale in francese. Torna quest’anno per la prima volta in edizione italiana nella regia di Alfonso Postiglione nella Sala dei Cannoni di Castel Sant’Elmo e non delude assolutamente le attese, nonostante.
Un titolo criptico, si è detto. E in effetti le due Coree non c’entrano nulla. Non sono altro che una metafora per identificare l’amore, anzi i vari tipi di amore, e i rapporti di coppia o tra più personaggi. Lo dice chiaramente il regista: “Il filo tematico dei 18 quadri per 51 personaggi per 9 attori è l’amore come fenomeno difettoso. Amore coniugale, sessuale ma anche filiale, amore vissuto, o solo sognato, desiderato. Celebrando soprattutto le fatiche e gli inciampi dell’esperienza sentimentale, ciò che si costruisce è un caleidoscopio di situazioni indipendenti narrativamente che si susseguono una via l’altra, a inseguire un’ossessione, un’illusione, in un circolo più vizioso che virtuoso. Perché non c’è unione senza separazione, appagamento senza insoddisfazione, appropriazione senza perdita, felicità senza dolore”.
18 quadri, quindi, per quasi due ore di rappresentazioni. Proprio l’elevato numero di situazioni dà modo al testo di non essere sempre perfetto, nonostante nell’insieme sia un lavoro realmente di prim’ordine. Alcuni episodi sono sicuramente meno riusciti, meno coinvolgenti. Altri hanno un impatto recitativo, visivo ed emotivo fortissimo. Si pensi allo spezzone conclusivo della prostituta in rollerblade, al maestro accusato di intrattenere rapporti particolari con uno scolaro (un grande pezzo di bravura degli attori), al corteo nuziale interrotto, e soprattutto il toccante episodio della donna malata di Alzheimer, visitata ogni giorno dal marito. Probabilmente il momento più alto del testo e dello spettacolo, con il marito che insegna alla moglie a passeggiare con lui, le ricorda i momenti belli, con tenerezza e rassegnazione, rabbia e amore, sino alla spiegazione del titolo: La riunificazione delle due Coree.
La donna chiede: “Allora se siamo sposati, come è stato il giorno in cui ci siamo sposati? Come eravamo? Felici?”
Il marito risponde: “Normali… una coppia normale… (pausa) no, eravamo felici. Eravamo come le due Coree che aprono le frontiere, e tornano a parlarsi. La Corea del Nord e la Corea del Sud che si riunificano, due popoli che erano stati separati ma che erano un tutt’uno. Così eravamo quando ci siamo sposati”.
Ovviamente ho semplificato e purtroppo non riesco a restituire quel momento da mozzare il fiato.
Postiglione parla di “caleidoscopio” e in effetti la scenografia di grande impatto visivo, semplice e complessa allo stesso tempo, nera, aveva come punto focale un enorme caleidoscopio che girava e mutava con il cambiare degli episodi.
A questi elementi (testo, regia, scena) si aggiunge una compagnia di attori tutti in parte, affiatati: Sara Alzetta, Giandomenico Cupaiuolo, Biagio Forestieri, Laura Graziosi, Gaia Insenga, Armando Iovino, Aglaia Mora, Paolo Musio e Giulia Weber hanno dato prova di un ottimo lavoro di squadra.
[Photo: http://www.napoliteatrofestival.it/]