Il Napoli Teatro Festival 2015 è finito, non senza critiche. Già a metà della kermesse, dalle pagine de “La Repubblica”, Giulio Baffi ne aveva parlato aspramente, sottolineandone la noia. Sono d’accordo con lui.
Vincenzo Salemme notava la grande distanza che separa il festival dalla città e dai suoi abitanti, che ne ignorano quasi l’esistenza (c’è da dire però che anche Salemme parla spesso di Napoli dalla distanza di chi preferisce guardarla da fuori). Concordiamo con Salemme comunque.
Ammetto che ho le mie colpe, poiché la noia di cui parlava Baffi mi ha spinto o meglio mi ha invogliato a non seguire l’ultima settimana di spettacoli, perdendo probabilmente qualche produzione di valore, stando a sentire i commenti di alcuni colleghi. Ma questo non è dipeso da me ma dalla conformazione stessa del festival che, in realtà, festival non è.
E da questa considerazione parte il mio ragionamento. Baffi ha ricordato, nel suo articolo di una decina di giorni fa, che Napoli fu nominata sede del Teatro Festival Italia, dall’allora Ministero della Cultura guidato da Rutelli, grazie a un progetto ambizioso di cittadella del festival (zona porto) che avrebbe fatto competere la neonata kermesse con le blasonate Edimburgo e Avignone.
Chi scrive ha lavorato per più di tre anni all’University of Strathclyde a Glasgow e ogni estate ha fatto una trasferta alla vicinissima Edimburgo per il festival, sia istituzionale che Fringe: l’intero Royal Mile (isola pedonale) pieno zeppo di turisti lì appositamente per il festival, in ogni angolo le compagnie fringe che davano un assaggio dei loro spettacoli, gli spettacoli istituzionali in “venue” limitrofe al Royal Mile, un programma fringe con centinaia di artisti.
Il festival si respira per tutta Edimburgo. La città, o almeno il centro storico che conduce al Castello, è il Festival.
A Napoli questo manca, perché lo sbaglio è in origine. È uno sbaglio non tanto artistico, quanto logistico. A Napoli non si respira per nulla l’aria di festival, ma sembra un circuito, un proseguimento della programmazione di alcuni teatri sino a fine giugno.
E questo si ripercuote anche sul pubblico. Si parla di grandi numeri spesso, ma saranno reali? O sono gli stessi spettatori che girano? Non vengono turisti, non vengono spettatori da tutta Italia per il richiamo del festival
Napoli, logisticamente, non è una città da festival se il festival è pensato così. Bisogna ragionarci sopra. Ma su questo punto tornerò a breve.
Continuo dicendo che, al di là di alcune singole produzioni, ci sono stati degli elementi interessanti: le “Dediche alla città di Napoli”, ad esempio, che potrebbe essere quasi un mini-festival a parte, indipendente dal NTFI, da riproporre annualmente da solo; l’utilizzo di Castel Sant’Elmo che ha fatto uscire alcune produzioni fuori dai soliti spazi. Tuttavia, ripensando alla marea di persone che affollano il Festival di Edimburgo, mi ha fatto tristezza vedere i corridoi del Castello in realtà vuoti, mentre invece avrebbe potuto essere una cittadella del festival e far vivere quello spazio in modo continuato.
C’è da dire, però, che Castel Sant’Elmo potrebbe risultare abbastanza difficile da raggiungere per chi viene dalla provincia.
Ritorniamo al punto di cui sopra. Ho detto che Napoli logisticamente non è una città da festival. Un festival deve essere pensato come un percorso in cui il festival si percepisce. Non si può pensare di farlo svolgere in varie sedi sparse qua e là per la città senza che vi sia un percorso artistico. Da questo punto di vista è più città spettacolo Benevento, perché raccolta. Ecco, un festival deve essere spazialmente raccolto.
Il festival deve essere logisticamente ripensato. Eppure, al di là delle difficoltà, anche politiche, che ci possono essere, un percorso sembra fisicamente chiaro e potrebbe rendere il Teatro Festival non dissimile nella forma ad Avignone o Edimburgo (o Sibiu, altra grande kermesse europea).
Si parta dal San Carlo e Teatro di Corte. Si può considerare anche il Politeama e qualche altro teatro vicino. Da questo punto si snoda un percorso che ingloba Piazza Plebiscito, via Chiaia (dove volendo c’è il Sannazaro, dove fu rappresentato uno splendido Interiors qualche edizione fa), si arriva a Piazza dei Martiri, lì Villa Comunale e il Lungomare Liberato, punto di arrivo finale Castel dell’Ovo (che farebbe le funzioni che ha svolto Sant’Elmo). Una sorta di rotonda (Ring direbbero i tedeschi) artistica.
Le sale per gli spettacoli del cartellone istituzionale. Per strada, negli spazi pedonali, quello che succede a Edimburgo. Gli artisti fringe potrebbero coinvolgere la popolazione, spingendola a vedere il festival a viverlo. Ovviamente bisognerebbe aumentare l’offerta, ad esempio nella sezione fringe, seguendo gli esempi dei grandi Fringe Festival (Edimburgo, Adelaide, Brighton etc.).
Così, e solo così ne sono convinto, il Napoli Teatro Festival diventerebbe finalmente un festival, invece di essere un ultimo strascico di stagione.
[Photo: http://www.napoliteatrofestival.it/]