Presentato al Teatro Bellini per il Napoli Teatro Festival, Mentre aspettavo, diretto dal giovane regista siriano Omar Abusaada, è uno spettacolo necessario e interessante ben al di là dei suoi meriti artistici. È una produzione necessaria per comprendere, o almeno cercare di comprendere, il dramma di un Paese e di un popolo, quello siriano, che da ormai più di cinque anni vive una guerra che non è solo guerra civile. Un conflitto che riguarda loro, ma anche noi e il resto del mondo. Riprendiamo la trama dello spettacolo per come si legge nel programma: “Brutalmente picchiato dopo aver attraversato uno dei numerosi check points che frazionano Damasco, Taim viene accolto in ospedale privo di conoscenza. I medici informano la famiglia che si trova a confrontarsi con una situazione drammatica: dopo aver superato la tragica morte del padre e lo scandalo che ne è conseguito, la famiglia sembra incapace di affrontare lo stato comatoso del figlio. Dal suo sonno profondo, il giovane osserva tutti i parenti che si recano a fargli visita e, mescolando la loro voce con la propria, racconta la storia dei cambiamenti che ha subito la sua vita e il suo paese. Per costruire questo lavoro sull’onnipresenza dell’assenza, Omar Abusaada ha incontrato famiglie che vivono il dramma del coma e medici che se ne prendono cura”.
E, in effetti, Mentre aspettavo è una forte testimonianza, che ha il pregio di non essere una denuncia polemica e ad effetto, e per questo ancora più forte. Ma ha dei limiti artistici che riguardano prevalentemente la scrittura del testo approntata insieme con Mohammad Al Attar. Dal punto di vista registico e attoriale il tutto funzione, con una scenografia d’impatto, soluzioni visive ben calibrate, e interpreti realistici e davvero in parte. Interessante e chiara, ad esempio, la scelta del regista di dividere il palco su due livelli verticali: la parte superiore dove Taim osserva e parla che rappresenta la macro-vicenda, la Storia; il palco inferiore con il dramma intimo, familiare, quasi un dramma borghese siriano.
Tuttavia il testo, a lungo andare, dà segni di ripetitività nei dialoghi, nel sottolineare continuamente cose ed elementi che, forse, detti una volta sola avrebbero avuto una forza maggiore. È la struttura delle interazioni dei personaggi attorno al letto di Taim in coma a ripetersi. Probabilmente se Mentre aspettavo fosse durato mezz’ora in meno ne avrebbe giovato. Rimane comunque uno spettacolo interessante e da vedere.