Detto senza giri di parole, Il catalogo di Angela DI Maso, in scena all’Elicantropo, è un testo potente che si traduce in uno spettacolo suggestivo, colto, efficace. La drammaturga-regista mette in piedi quello che è effettivamente un disumano processo di umanizzazione dei personaggi e lo fa in modo che è allo stesso tempo allucinatorio e realista, sicuramente profondo.
Senza entrare nello specifico della trama o del tema, quello che mi preme è sottolineare come la cultura e la personalità teatrale e intellettuale di Di Maso si riversino nel teso e nello spettacolo. Sin dal principio la suggestione visiva e uditiva risulta di grande impatto, cui segue una grande prova d’attore da parte di Massimo Finelli (un viso che ricorda il grande John Cazale), Patrizia Eger e Giuseppe Cerrone, con una chiara discendenza artistica di Di Maso regista dalla scuola di Bob Wilson.
Il catalogo è un teatro crudele, verbalmente e tematicamente, senza pietà, senza indorare la pillola, è teatro dell’assurdo, è Beckett e anche altro. Ammetto, anche se l’autrice nega (e forse ammetto che è un mio pallino fisso), che penso ad Edward Albee: in Chi ha paura di Virgina Wolf? Abbiamo la coppia di coniugi, un figlio mai nato o che non può nascere, un atto intitolato “L’esorcismo”.
E proprio in questo vi è uno degli elementi che mi ha maggiormente colpito de Il catalogo: l’essere contemporanemente un patto col diavolo, con un mefistofelico Law (Finelli) da parte di Eric (Cerrone) e Rose Portman (Eger), perché, in fondo, prima ancora del catalogo si parla di contratto, e un esorcismo, nel senso del termine che può essere ascrivibile a Jacob Levi Moreno,
Ma esorcismo non vuol dire per forza di cose catarsi, e, di fatti, i coniugi de Il catalogo vivono una catarsi mancata. Abortita. E non avrebbe potuto essere altrimenti.