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Teatro

Salò o le 120 giornate di Troia nella versione di Valery Fokin e Nikolay Roshchin

le-troiane-17Si è resa necessaria una settimana di meditazione prima di poter recensire Le troiane di Euripide andate in scena al parco archeologico del Pausilypon per la regia di Valery Fokin e Nikolay Roshchin con un cast italiano capeggiato da Angela Pagano. Una settimana a ragionare e a confrontarsi con colleghi per non rischiare di scrivere di getto e di pancia, ma di  testa, nella speranza che, ragionandoci, si potesse salvare o trovare  qualcosa di buono.

Ma la settimana non ha portato consiglio, ma anzi non ha fatto altro che consolidare un giudizio che non può che essere negativo. Ed è un peccato perché per  il testo, per la location,  per il nome di uno dei due registi, quel Fokin direttore a San Pietroburgo e che abbiamo apprezzato la passata stagione per un interessante Il giocatore al San Carlo, le aspettative erano altissime. Le più alte di questo Napoli Teatro Festival 2016.

Eppure il primo impatto, il primo colpo d’occhio era stupefacente, con una  bella e oscura scenografia, e il passaggio del pubblico tra sacchi con cadaveri e soldati armati per poter raggiungere le gradinate. Sembrava un Euripide distopico, un Euripide dal sapore di V for Vendetta o un Le troiane ai tempi di Hunger Games. Sembrava solo.

Quello a cui il pubblico ha assistito è, potremmo definirlo così, un Salò o le 120 giornate di Troia, uno spettacolo di velleità visionarie e intellettualoidi, con rimandi concettuali, almeno per il pubblico italiano, al film capolavoro di Pasolini, e che scade neanche troppo lentamente nel ridicolo: le Troiane prede e prigioniere di sadici, grotteschi achei dal sapore e dalle uniformi fasciste.

Senza girarci intorno, Le troiane di Fokin (che non era presente, perché?) e Roshchin è uno spettacolo imbarazzante. Imbarazzante perché senza un’idea di regia, imbarazzante nei video, imbarazzante nel mancato lavoro sugli attori e nella recitazione (si pensa malamente che basti urlare per fare il teatro greco), nei balletti, nei saltelli, in scene da Esorcista, in un siparietto comico mascherato in cui si è rasentato il ridicolo del ridicolo. Perché? Probabilmente Fokin (non consociamo Roshchin) ha competenze se deve trattare Dostoevskij o autori della Mittel, Nord o Est Europa (non solo Russia, presumiamo), ma ha dimostrato di non sapere e non comprendere Euripide. Di non poterlo affrontare con rispetto.

Viene in mente di nuovo Pasolini e il suo lavoro sul teatro greco e la Medea, ma soprattutto quel grandissimo artista e regista che era Michael Cacoyannis che  trasse da  Le troiane un film con un cast memorabile (Katharine Hepburn, Vanessa Redgrave, Irene Papas). Una pellicola, insieme agli altri suoi lavori Elettra e Ifigenia, che sono fedeli al teatro antico ma allo stesso tempo sono opere del trauma storico e della contemporaneità, della Grecia contemporanea prima, durante e post dittatura dei colonnelli.

Ci sta qualcosa da salvare? Forse qualcosa c’è e sono quegli spari finali. Quel momento avrebbe potuto essere l’idea, la nota chiave de Le troiane. Se si fosse scelto di costruire tutto per giungere a quel momento di forte realismo, si sarebbe potuto costruire, on quelle scene e quei costumi, un Euripide con la forza di The Brig. Ma Fokin non è il Living Theatre.

Le troiane saranno in stagione al Mercadante, a marzo-aprile 2017. Vi è tempo per intervenire. Si deve assolutamente. E infine un’ultima considerazione: siamo disposti a vedere tragedie greche dirette da persone di ogni nazionalità nei modi più assurdi e in qualsiasi lingua, con sottotitoli; quando potremo apprezzare il teatro greco diretto da un qualche grande regista greco contemporaneo e in greco? Sarebbe una bella novità.

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