La Galleria Toledo ospita dal 6 al 9 febbraio Bastavamo a far ridere le mosche, di Sergio Longobardi – Compagnia Babbaluck, in collaborazione con Theatre du Parc de la Villette di Parigi. Poetico, divertente e semi autobiografico.
Immaginate un ragazzo che vuole fare il clown. E che non riesce a dirlo a suo padre, il quale desidera per lui un lavoro “sicuro”. Ora, immaginate questo ragazzo, ormai maturo, che FA il clown. E che parla col padre come solo un clown può fare: dal palco. E che fa salire il vecchio sul palco. Letteralmente. Proiettando la sua presenza sulle quinte. Per dargli la sua razione di pubblico, chiedergli consigli, ma anche mostrare la sua quintessenza… di clown.
Ora, questa storia – che tocca combinazioni impossibili – è diventata uno spettacolo: Bastavamo a far ridere le mosche, di Sergio Longobardi – Compagnia Babbaluck, in scena dal 6 al 9 febbraio alla Galleria Toledo di Napoli. Partendo da un testo teatrale di suo stesso pugno, Sergio Longobardi gioca con la sua autobiografia in modo scanzonato ma profondo, tirando in ballo i motivi del mestiere di attore. Ma anche i conflitti generazionali. E la difficile arte di sopportare la propria vocazione, e sostenerla, anche quando essa appare un evanescente velleità. E, infine, la precarietà, la scelta di lasciare il proprio paese – “dove governa un clown che però racconta solo barzellette” – per cercare fortuna in Francia, a Parigi.
La comicità di Longobardi, come quella di ogni clown che si rispetti, è intrisa di pensosità. Ma non ci sono pensieri finiti. La ratio non governa la confusione. Anzi è proprio quest’ultima a guidare i gesti, a portarli, in modo rocambolesco, a buon fine. La comicità dello spettacolo è basata sulle sospensioni, su una incertezza portata con determinazione, o sulla sincerità, buttata lì, con un gesto di vigile distrazione – o distratta attenzione. Si ride, e si sorride. Torna il piacere davvero basico di ascoltare una storia.
Sul palco, insieme al clown, la presenza di Michael Nick, compositore e performer tedesco di adozione parigina. Equipaggiato con due violini e una consolle a pedali, estrae suoni che sono altri abitatori della scena e che interagiscono direttamente con il clown.
Nel racconto si mescolano immagini di Napoli e Parigi, due città lontane e vicine. Come lo stesso Sergio Longobardi racconta in una chiacchierata dopo la prova generale, Parigi, a differenza di Napoli è “una vetrina”. Basti pensare che sono circa 350 i teatri in città. Andato via da Napoli nel 2011, dove ormai stava per rinunciare alla carriera artistica dopo una lunga attività, l’attore è ripartito da zero. Ha chiesto asilo ad una istituzione, Theatre du Parc de la Villette, e questa gli ha offerto residenza artistica. Una chance che l’attore ha colto al volo, producendo lavori teatrali di tipo documentario e, infine, questo ultimo, che ha portato e continuerà a portare nei teatri di Parigi. “A Napoli, noi artisti, non avendo statuto da difendere, ripieghiamo su noi stessi. Cosa che non paga. A Parigi, la competizione sul campo diventa reale. Ma chi ha vissuto la vita difficile dell’artista napoletano a Parigi può trovare qualcuno che lo ascolta”.
Una parabola, quella del Clown di Babbaluck, che ci parla di desiderio di migrare, di cercare aria e pubblico altrove. Ma anche dell’importanza fondamentale di avere una sponda in una istituzione, quando si tratta di cose evanescenti come l’arte, la clownerie, il talento. Per trovare rifugio, fiducia, e spazi in cui lavorare. La residenza artistica è infatti quasi sconosciuta nel nostro Paese, ricco di talenti interrotti.
[Foto: Ufficio Stampa Galleria Toledo]