Il giorno in cui ci sarà un minuto di silenzio per la morte della retorica istituzionale, sarà un gran giorno. Il mondo del calcio non perde occasione per rotolarvisi dentro. Lazio – Napoli comincia con un doveroso tributo al cinghialone Giorgio Chinaglia, bandiera della Lazio dello scudetto del ’74, due anni pure all’internapoli, società partenopea di Marano di Napoli, che gioca le sue partite allo stadio Salvatore Nuvoletta (un nome, una garanzia). Nulla da eccepire sul mondo laziale che piange per Long John il pluricondannato per aggiotaggio, associazione a delinquere, riciclaggio per conto del clan camorristico dei casalesi, sul quale vertevano due mandati di arresto di cui uno di caratura internazionale. E non avrei niente da dire nemmeno sull’enfasi dei media sportivi nel ricordarne l’immagine giubilata dalla morte, se però si fosse dato risalto anche al coro levatosi da gran parte dello stadio olimpico una volta finito il cordoglio silente: Lavali, lavali, lavali col fuoco, o Vesuvio, lavali col fuoco. Anche a 200 km di distanza vale la regola tutta italiana che esprime talento nel formare santi una volta ascesi al cielo ma dimentica di stigmatizzare le gesta sulla terra. E allora scommetto che, in un futuro nemmeno tanto prossimo, ci sarà un minuto di raccoglimento anche per qualche genio della Nord laziale che avrà inneggiato alle gesta del gigante steso ai piedi della partenope; sperando che magari, una volta esploso, possa sciacquare anche un po’ di Roma. Quella che conta, almeno.
Forse il giocattolo si è rotto. Mazzarri continua ad assolvere questi ragazzi e lo si può capire; sia per dei meri equilibri di spogliatoio (anche se a 6 giornate dalla fine, a -6 dalla Lazio c’è poco da salvaguardare), sia perché probabilmente sa di doversi attribuire molte responsabilità su ciò che è accaduto e che sta accadendo. Ieri al Napoli mancavano Maggio, Zuniga, Dossena era a mezzo servizio e Cavani Hamsik De Sanctis Inler Aronica e Britos non sono riusciti a raggiungere lo stadio. Devono essersi persi per le strade capitoline, avvinti forse dalla domus aurea, dall’abbacchio o bloccati da qualche manifestazione operaia.
Per fortuna il cambio di modulo non è diventato il solito spauracchio da intervista post sconfitta. Il buon W. ha insistito tenacemente con tutta la claque degli opinionisti: il Napoli ha giocato una gran partita, ha messo sotto la Lazio e se non fosse stato per il rigore negato (errore marchiano di un Mazzoleni confuso dal clima post 1 a 1, dove non è stato sanzionato un calcetto di Cavani sulla linea dell’out destro) ora staremo parlando di un altro risultato. Ma la favole dice 3 a 1, 6 gol in due trasferte, 6 punti dal terzo posto e soprattutto un gruppo apparso palesemente sulle gambe, privo di energia e lucidità per affrontare in crescendo questo finale di campionato. Il 4-3-3 di ieri non stava dispiacendo. È vero che la Lazio, come ha detto Mazzarri, ha prodotto pressoché niente, se non lo sfruttare quelle due tre occasioni concesse dagli ormai reiterati errori della retroguardia partenopea. Inler al centro non è che brillasse, ma Hamsik e Dzemaili gestivano una buona quantità di palloni, e anche se lenti riuscivano ad imbastire un certo numero di azioni grazie ai piedi buoni e a una Lazio che ti permetteva di arrivare ai 20 metri per poi ingolfare ogni angolo d’erba. Lavezzi si muoveva a sprazzi e male, mentre Cavani sembrava più il suo alter ego da presepe. Ma vista la Pasqua, è stato ancora una volta Pandev la riserva ad alimentare da solo una certa credibilità per il risultato. C’è da dire che il Napoli di quest’anno paga ogni minimo errore. L’anno scorso succedeva esattamente il contrario, e se una squadra così discontinua e piena di pecche in difesa continua ad essere in corsa per la zona Champions, ciò è dovuto esclusivamente ad una mediocrità generale delle squadre che non devono lottare per lo scudetto. La Lazio vista ieri, ad esempio, in Champions riuscirebbe ad arrivare allo stadio, ma non credo molto di più. C’è una penuria di buone squadre in Italia, ma mentre al Napoli è mancato il confermarsi, dopo lo scorso anno e la meravigliosa Champions di quest’anno, le altre squadre hanno dimostrato anche nell’Europa minore di non essere equiparabili ad una pari classifica spagnola, inglese e nemmeno tedesca.
Quello che più però mi preoccupa di questo torneo, è che in quasi tutte le partite decisive vince la squadra più brutta: lo scudetto della Juventus passerà attraverso la rapina (in buona fede) della terna arbitrale in Milan – Juve; la Lazio prenderà il 3° posto senza aver disputato una sola buona prestazione con le più accreditate contendenti; mai brillato, anche se vincente, contro Roma, Napoli e Udinese. Insomma, dal mio pulpito, questo Napoli mi spaventa ancor di più, perché esce tramortito da una stagione in cui, per il retaggio di gioco e la qualità dei suoi presunti campioni, avrebbe dovuto combattere per lo scudetto. Fino alla fine. Proprio come sta facendo la Juventus di Caceres e dell’iper-tricotico trapiantato Conte.
Ora tocca alla società. De Laurentis ed il suo staff stabiliscano il da farsi. Mazzarri ha ancora stimoli per ricominciare il prossimo anno? Inler andava acquistato, a quelle cifre, anche se fosse palese il non essere perfetto per il gioco consolidato del Napoli? Serviva davvero spendere 12 milioni (di dollari) per Emo Vargas mentre Campagnaro arrancava, Aronica è Aronica e solo per questo va ringraziato e i giocatori di fascia non avevano sostituti all’altezza?
Il Napoli deve ricominciare dal porsi le domande giuste. Perché il tifoso ringrazia per le gioie ed ha il dovere di arrabbiarsi per una stagione gestita probabilmente male da tutti, in primis l’allenatore. Ma ora tocca al presidente, al suo staff, mettere in atto la resurrezione. Che la squadra sia di una scossa per questo finale, si svegli, così che “ Oje vita, oje vita mia” finisca di essere storpiata in altri stadi italiani e a dormire sia soltanto il Vesuvio.