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Un sogno durato andata e ritorno (l’onda azzurra)

Se avesse assistito a questo incontro, vedendo l’occhio aperto e vile di Drogba, gli sputi e gli spintoni riservati ai tifosi partenopei esultanti in tribuna dopo il gol di Inler, annusando la strana condotta arbitrale subito dopo i tempi regolamentari, non sono così certo che l’eroico partigiano Nello Iacchini avrebbe salvato la vita di Winston Churchill senza pensarci due volte.

Il Napoli ha perso la partita. Lo si può dire senza indugi. Non l’ha vinta di certo un Chelsea arruffone, statico nella zona nevralgica del gioco e confuso in difesa. Molti giornali oggi  tesseranno le lodi arrembanti di David Luiz, la sagacia tecnico tattica di John Terry, la classe cristallina e mai doma di Drogba, ma a conti fatti il Napoli è uscito da questa Champion’s League per un solo ed incontrovertibile motivo: 12 situazioni d’attacco e due sole volte la palla tirata nello specchio della porta. Gol Compreso. È anche vero che quando si perde ci si può appigliare a tutto, e per questo Napoli i motivi li si può trovare un po’ ovunque: la mancanza d’esperienza in campo internazionale, una difesa vecchia e non adatta a contrastare i lungagnoni britannici (a tal proposito, perché Mazzarri non ha pensato di inserire gente come Britos o Fernandez? ), un’euforia spesso foriera di cattivi presagi dovuta al risultato dell’andata, l’esser venuto meno in alcuni uomini chiave come Lavezzi, Hamsik e persino Cavani che lottava come un toro infilato da cento banderillas.

Londra ha comunque bruciato d’azzurro. Un’onda mobile fatta da 5000 napoletani presenti in ogni settore dello stadio, alcuni mimetizzati ma mai nascosti, festanti ma mai sazi, rumorosi, come quando al finire dell’inno della Champion’s l’urlo sembrava venire dritto da Fuorigrotta. Tifosi corretti e festanti fino al fischio finale, nonostante le intemperanza di un popolo che spesso si ostina a volerci dare lezioni di morale, persino sulla guerra. Quei tifosi meravigliosi presenti allo Stamford Bridge, che nulla avevano a che fare con gli scellerati delinquenti che hanno letteralmente saccheggiato i botteghini facendo leva sulle intimidazioni e la violenza, sono un vero vanto per ogni italiano che ama e segue con passione e verbale irruenza questo strano e poetico mondo che è il calcio.

Il Napoli è partito bene. Un po’ teso nei primissimi minuti, ha poi preso campo, sciogliendosi e ricordandosi di poter far male ad una difesa che 15 giorni prima aveva concesso 10 palle gol nitide. La palla si muoveva velocemente, Maggio è sembrato il solito diligente pendolino (fino al cruciale infortunio), Hamsik giocava sempre con la sua ombra, Lavezzi e Cavani erano scattanti ma sin da subito sembravano forse subire più degli altri le pressioni di una partita che avrebbe dovuto portare una città intera nei quarti di finale. Se però da un lato la banda Mazzarri sprecava le sortite offensive, ad onor del vero bisogna aggiungere che il Chelsea appariva davvero incapace di risollevarsi dalle ceneri dell’andata, nonostante si notasse una sostanziale differenza dalla gestione Villas-Boas: più attenzione sugli esterni, centrocampo abbastanza abbottonato ed uno schema imperante: cercare Drogba.

Perché se volessimo paragonare la partita di ieri ad una corrida, il matador ieri è stato lui. Ma non di quelli eroici, nient’affatto. Di quelli che annusa il sangue quando c’è da anticipare una difesa impreparata e svettare di testa (complice l’infortunio di Maggio, ancora in campo al momento del gol dei blues) per il gol dell’uno a zero, ma non c’è proprio nessun eroismo nei suoi tuffi per cercare i falli, nelle sue sceneggiate con tanto di occhio semi-aperto dopo una fantomatica gomitata, nei suoi modi da  mafiosetto di paese per cercare di condizionare la terna arbitrale: riuscendoci tra l’altro in quella che è stata la gestione della gara nei tempi supplementari, con l’arbitro Brych passato dal non fischiare quasi nulla al sanzionare 5 contatti ipotizzati tra i visi dei blues e i gomiti dei partenopei, con tanto di ammonizioni sistematiche. Falli dubbi anche dopo la moviola.

Ieri ha perso il Napoli. Perché avrebbe meritato di vincere, visti i 210 e passa minuti giocati. Ha perso il Napoli perché è squadra meglio organizzata, con un’idea di calcio attuata con vigore e tecnica, mentre dall’altra parte c’era uno stuolo di ragazzi alla fine di un ciclo che prova a reggersi con la forza dei nervi. L’Inter inglese, ha detto qualcuno e come dargli torto. Ma il Napoli ha perso. Non voleva perdere, questo è così logico da far ridere, ma ce l’ha messa tutta. Persino Mazzarri. Il luogotenente di una compagnia ben preparata e mai arresa, che però ieri si è perso aspettando qualche spunto risolutivo di un Lavezzi imbrigliato dalle sue paure; non sostituendo Hamsik quando sarebbe stato logico cercare di DIFENDERE un risultato e non per forza cercarlo; inserendo Dossena, uomo onesto e calciatore probo, ma inadatto ad una partita dove il compito numero uno era evitare di far arrivare le frecce dei blues sul fondo per crossare; non inserendo difensori diversi, gente alta specificatamente un Britos e un Fernandez, che avrebbero potuto contrastare il gioco aereo.

Mazzarri ed il Napoli sapevano cosa dover fare, ieri, per uscire vincitori. Bastava un secondo gol, bastava che la danza di Zuniga terminasse con la palla in rete, bastava poco. Ma non ci sono riusciti. Non ce l’hanno fatta. Ed è tanto giusto ammettere che il Napoli ha perso, quanto complimentarsi con ognuno di questi ragazzi, con Mazzarri e Pondrelli, con Starace e De Nicola, con Bigon e Delaurentis. Stringerei la mano ad ognuno di voi, azzurri: tutti questi giorni da sogno grazie a voi, e soltanto a voi il diritto di svegliarci.

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