Sono le 15 e 30 quando il cuore di Pierpaolo Morosini comincia a fermarsi. Le immagini crude raccontano il disagio ad arrendersi di un ragazzo la cui storia pare venir fuori da un racconto di Dickens. Il mondo del calcio si ferma, s’interroga, mette in atto la ballata della retorica della morte, i campionati slittano, i colleghi del Moro si stringono intorno al suo ricordo, i media e gli ultras non perdono l’occasione per diventare protagonisti.
Il calcio giocato riparte, 7 giorni dopo, come se niente fosse, come pretende il business, come pretendono tutti quelli che restano. A Genova i tifosi sequestrano lo stadio (e la partita) per quasi un’ora, costringendo la squadra ad una pantomima fra le più squallide alle quali si sia mai assistito; a Roma invece alcuni tifosi scalmanati a fine partita obbligano la squadra ad andare sotto la sud a scusarsi perché hanno pareggiato con una tra le 16 migliori squadre d’Europa, facendo ritornare alla ribalta un altro annoso problema che caratterizza il nostro mondo del calcio: i rapporti così stretti fra giocatori e ultras.
Questo campionato che volge al termine ha messo in luce una situazione generale davvero preoccupante. Gli episodi riguardanti la salute dei calciatori, il ritorno della paradossale prepotenza Ultras che smette di servirsi della violenza fisica e ricomincia con quella del ricatto psicologico che finisce per apparire ancora più infame; non ultima, la mediocrità tecnica di un torneo che sta per finire nelle mani di una Juventus energetica ma senza un cannoniere fra i primi 15 della serie A e con il terzo posto (ultimo buono per l’entrata in Champion’s league) in mano ad una bagarre che vede coinvolte 4 squadre (Napoli, Inter, Lazio e Udinese) il cui cammino sportivo può definirsi al massimo altalenante. Assomiglia molto ad uno di quegli anni di transizione, questo, sperando che altre medie e grandi società seguano l’esempio della Juventus riguardo la costruzione di uno stadio di proprietà, così che negli anni a venire si possa restituire un po’ di lustro a quello che fine ad un decennio fa era considerato il più competitivo e difficile e ambito campionato d’Europa.
Ha conquistato 7 punti nelle ultime tre partite, il Napoli. Vittorie con Novara e Lecce e il pareggio di sabato con la Roma. Sembra essersi ripreso fisicamente e mentalmente, reso più equilibrato da un modulo che non prevede Lavezzi ma bensì un centrocampo folto con due uomini a protezione della difesa e Hamsik libero di spaziare sul fronte d’attacco. La partita contro la Roma ha incrementato i dubbi su di una difesa che appare sempre più stanca e svagata, e ha confermato la bontà degli avanti partenopei: pur non brillando in modo accecante, Cavani Hamsik e Maggio (e un Zuniga davvero enigmatico per quanto riesce ad alternare corbellerie e spunti decisivi) hanno creato una decina di palle gol senza però riuscire a portare a casa i tre punti. Il Napoli comunque appare insieme all’Inter fra le più accreditate per mantenere la giusta concentrazione in questo finale per aggiudicarsi il terzo posto. Ed è veramente emblematico che queste 4 compagini siano lì a giocarsi il terzo gradino del podio nonostante un cammino mediocre, pieno di alti e bassi, caratterizzato ad un numero di sconfitte davvero importante, specie se inserito in un contesto dove, con molte probabilità, la squadra vincitrice terminerà senza sconfitte.
In questo momento il tabellone dice Napoli per via della classifica avulsa che vede gli azzurri ad 11 punti negli scontri diretti, mentre l’Udinese è a 8, l’Inter a 6 e la Lazio a 5. A tre giornate dalla fine niente è precluso per nessuna delle squadre in lotta, anche se lo scontro all’ultima giornata tra Lazio e Inter consegna nella mani degli azzurri la possibilità di essere gli unici artefici del proprio destino: vincerle tutte per rituffarsi nell’Europa che conta.
In vista dei bilanci di fine stagione, il Napoli ha cominciato il solito balletto dei dubbi e delle riconferme. Rinnovati i contratti di Hamsik, Aronica e Bigon; Lavezzi si fa il giro del mondo (Psg, Manchester City e Inter) e per Cavani si deve aspettare, forse la fine del campionato, forse il suo Dio che gli dica cosa fare.
Nel frattempo Mazzarri ci sta già abituando all’assenza del pocho, cosa coincisa con un filotto di tre risultati utili, dopo le 3 disastrose sconfitte con Juve, Lazio e Atalanta che sembravano aver precluso ogni obiettivo. Ma quest’anno non è fatto per la continuità, e quindi ecco che in tre partite il Napoli passa dall’essere settimo a terzo avendo ora fra le mani il proprio destino, e riuscendo a fare buone prestazioni nonostante l’assenza di colui che è quasi da tutti considerato l’elemento imprescindibile della squadra.
Al di là di come finirà, spero che l’anno a venire tutto il calcio italiano indossi nuovamente il vestito buono, e che il Napoli cominci realmente ad interpretare il ruolo da protagonista che gli spetta. Perché è società che investe, che ha capito che le rivoluzioni continue non sono alla base dei risultati, perché sembra credere negli uomini oltre che nei calciatori. Il presidente De Laurentiis deve dimostrare anno dopo anno di meritarsi tutto quest’amore economico che il popolo napoletano gli concede, ché tanto la passione e il tifo non mancheranno mai.
A Torino e a Milano dicono che vincere sia nel DNA, un fatto culturale, mentre qui da noi si gioca a Pulcinella e a mariuolo. Beh, se penso agli Agnelli o ai Berlusconi, non è l’integrità che mi viene in mente. Non rinuncerei ad una sola sconfitta, se il contrario volesse dire vincere per diritto divino. Che poi arbitri comprati, doping e sudditanza del potere, col divino non hanno proprio niente a che fare.