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Road to perdition (Roma&terzo posto: un’orchestra ha bisogno di tutti gli elementi).

“…un rimpallo; dall’aria il pallone rotola fino ai suoi piedi. Gli occhi fulminano un avversario vicino ed è difficile stabilire chi sia più veloce: i piedi o il pensiero. Saetta con la palla fra i piedi, Lavezzi, è la gazzella che rincorre il leone. Gli occhi bassi di chi non ha paura ma sa cosa fare, si libera della sfera, lasciando ch’essa possa librare in alto, lì dove 60 mila occhi la seguono, racchiudendo in essa 60 mila speranze. Cavani si muove come il toro che ha appena avvistato il rosso, lucido come un cecchino, attacca l’aria dinanzi a lui. Hamsik ne esalta l’arguzia, disegnando una traiettoria eterea, ispida, efficace: l’ultima pennellata, la testa del Matador impatta il pallone con precisione estrema, con poca grazia, graffiando la tela con un sigillo purpureo, chiude la notte stellata. “

Il Napoli vola a Roma grazie ad una rete fantastica, figlia della consapevolezza di tre tra i migliori calciatori del continente. Niente di più giusto: il Napoli arriva alla finale di coppa Italia senza aver disputato alcuna grande partita. Ci arriva con i nervi, col sacrificio, con la coscienza di essere una squadra forte. Attingendo all’estro dei suoi uomini migliori, che nonostante siano apparsi stanchi e in parte svuotati sono riusciti a ribaltare un’andata scellerata in quel di Siena, assicurandosi la possibilità di giocarsi un trofeo con la rivale di sempre, quella Juventus che pare aver superato anche quel momento di appannamento delle ultime settimane. Non c’è da inventarsi ricami: la partita è stata brutta, combattuta più con i nervi che con il fisico. Il Siena aveva ben altro per la testa, ed apparso più agnello sacrificale che outsider convincente. Nemmeno il 2 a 1 dell’andata è riuscito a stanare il timore dalle menti dei bianconeri toscani, così che a passare è stata certamente la squadra più forte, ma senza nessun Davide, alcun Golia. Il Siena col fardello della salvezza ancora da conquistare, il Napoli con le metastasi di una sconfitta, quella di Londra, tutt’altro che digerita. Ma dopo il secondo autogol nel doppio confronto, ci hanno pensato quelli che tutti chiamano “i tre tenori”, imbastendo un contropiede così perfetto da far gridare al manuale del calcio. Et voilà. Ci aspetta la Juventus, ci aspetta una finale che non giocavamo da più di 20 anni, ed è merito di tutti: dei 60 mila sempre presenti, di un gruppo coeso e qualche volta fragile, di un cocchiere arcigno e furbescamente sopra le righe, con l’unico cruccio, forse, di non riuscire ancora a mutuare a se stesso gli errori in alcuni momenti chiave di queste sue meravigliose stagioni a Napoli. Merito di De Laurentis, riuscito a non farsi sommergere dai maremoti emotivi che s’imbattono sul mondo del calcio, lasciando all’irruenza che gli appartiene un ruolo marginale. Merito di uno staff tecnico preparatissimo, che pur lavorando nell’ombra sa di essere parte fondamentale del tutto. Questa squadra, questa società e con essa i cittadini tifosi che la seguono e la amano, possono specchiarsi nei successi di questo lustro bellissimo sperando di non imbambolarsi, perché crescere ancora è doveroso e possibile. Adesso mi aspetto dal Napoli una crescita diversa. Provare a gestire campioni veri venuti dritti da questi quartieri. Mi aspetto che venga dismessa la paura di avere due top player per ruolo. Mi aspetto che le scelte economiche continuino ad essere equilibrate, ma non per forza stringate e sparagnine. Al di là delle questioni meramente sportive, mi aspetto che questo gruppo lotti sino alla fine per il terzo posto, cominciando da domenica contro un Catania forte e scevro da responsabilità, sperando che le assenze (anche fondamentali come quella di Maggio) non diventino ostacolo insormontabile e che non si perpetui l’errore di lasciar andare un campionato che, sono certo, avrebbe potuto contendersi fino all’ultima giornata se non avesse anteposto la miracolosa Champion’s League a tutto il resto. È forte questo Napoli, manchevole ed imperfetto come tutte le cose meglio riuscite. Ogni notte più consapevole, ogni giorno meno schiavo di logiche e retoriche. Questo mi auguro. Perché tutti sappiamo che il calcio, ieri come oggi, è diretto dal potere, quello economico e quello politico, e perciò persino a noi sembra più giusto che si vinca a Milano piuttosto che qui.

Ma che nessuno si dimentichi da dove veniamo: ai campetti di Gela e Lanciano, alla serie C, io preferisco anteporre Maradona e Scarfoglio, Lauro e il Regno delle due Sicilie. Roma il 20 Maggio non è Napoli, ma nemmeno Torino. È a metà strada: la Juventus è avvisata.

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