Come sarebbe potuta finire altrimenti? Magari sarebbe potuto arrivare Van Gogh con l’orecchio nella scatola, in mezzo al campo, ad abbracciare uno ad uno quei ragazzi e poi regalare lo scrigno di cartone al migliore. Ardua scelta. Oppure, dal sottopassaggio avremmo visto comparire Hemingway con una spazzola in mano al posto del canne mozze e provato, chiedere la maglia a Lavezzi. Manolete non si sarebbe tirato indietro. Don Chisciotte avrebbe fatto la ola. Il barone Munchausen lo avremmo visto arrivare a cavallo di una palla di cannone, direttamente dalla luna. Lo stallone di Nietzsche avrebbe risposto ridendo al nitrire della folla. Il piccolo principe avrebbe piantato un fiore a centrocampo, proprio fra Gargano ed Inler.
Arturo Bandini avrebbe stretto la mano di Maggio, rispondendo per le rime all’irriverenza di Mata, che pure ci avevo provato a rovinare la festa. Bardamu si sarebbe acceso un sigaro, mentre Chinaski avrebbe raggiunto Mazzarri nel loggione del San Paolo, per fumare e bere vino lontano da occhi indiscreti.
Josef K. sarebbe stato espulso senza apparente motivo. Di Meursault non si sarebbero avute notizie. Dean Moriarty avrebbe chiesto un passaggio al pullman della squadra al ritorno verso castel volturno, per poi farsi lasciare al bivio della Nola-Villa Literno. Picasso avrebbe provato a rubare la donna a Dossena. Dorian Gray avrebbe chiesto consigli a Grava e De Santis. Didi e Gogo, a domanda precisa avrebbero così risposto: Godot chi?
Roquentin avrebbe trovato finalmente una buona ragione per vivere. Felice. George avrebbe inseguito Lennie per tutto il campo, dopo che quest’ultimo ci era entrato nonostante l’arbitro non avesse ancora decretato la fine dell’incontro. Aleksej Ivanovic ci avrebbe tirato su una discreta somma.
Tutti ci speravano, e qualcuno lo diceva persino a bassa voce. Ma la realtà consta nel fatto che questa squadra ha scritto la più epica delle storie. Passando attraverso una battaglia che, a primo sguardo, non è sembrata nemmeno così cruenta. Merito di questi calciatori.
Di De Santis e la sua spavalderia, di Aronica e la sua tenacia, di Cannavaro e la sua forza nel non soccombere all’unica avversità d’un cielo terso, azzurro.
Di Gargano, mulino instancabile, macina vento ed erba, più sicuro, oggi. Di Inler e le sue semplici geometrie, di Maggio con la sua velocità perspicace, di Zuniga e il suo secondo tempo d’umiltà.
Di Hamsik con la sua regale ed oscura costanza. Di Lavezzi che si sobbarca persino il suo stesso mito. Di un Cavani unico, impareggiabile, per una sera forse inarrivabile, di certo fondamentale come un ponte elevatoio per accedere al castello.
Ho 30 anni. Vivo a poche ombre dallo stadio San Paolo, e ci vado da più di 20. Ricordo a malapena le magie dello scugnizzo dalla testa increspata, ma questa sera, davanti ad un giubileo di 60 mila anime, ho colmato anch’io un vuoto, uno di quei vuoti che un tifoso d’una città così dolente e maestosa si porta dietro con estrema difficoltà: vivere da spettatore cosciente ad uno dei pezzi di storia della propria squadra del cuore.
Napoli – Chelsea è stato il loro personale regalo a tutti noi.
Questo piccolo e sgraziato pezzo è il mio, a loro.