Un punto di riferimento. Servono certezze. Come per il commerciante la clientela fissa, quella su cui poter addirittura azzardare di costruire un debito. Quando Diego Armando Maradona arrivò a Napoli, l’apoteosi iniziale di tutti gli elementi coinvolti cominciò pian piano a lasciare il posto ad una specie di positiva preoccupazione. Un po’ come un monito per i super eroi dei fumetti: un grande potere comporta grandi responsabilità. Maradona era il grande potere, averlo in squadra innescava una serie di grandi responsabilità che nel calcio, prima d’ogni altra cosa, significa VINCERE. E fu così che dopo un primo anno di rodaggio tutte le parti in essere, dallo scaltro Ferlaino al giovane e rampante direttore sportivo Marino, unirono forze e competenze per creare intorno all’eroe una squadra capace di non dilapidare tutto quel ben di Dio, ma anzi di amplificarne il valore, di sfruttarne fino all’ultima goccia. Ciò che è avvenuto dopo è storia, storia di questo club e del calcio italiano tutto.
Il calcio non è una scienza esatta. Ci sono centinaia di componenti intersecate e divise fra loro allo stesso tempo. Spendere non è sinonimo di vincere, ma non farlo lo è di quasi certamente del contrario. I clienti fissi del Napoli, ritornando a questa fredda analogia, si chiamano Cavani, Hamsik e Insigne. Tre cespiti di diversa caratura, ma tutti enormemente utili al risultato finale. Cavani sembra di un’altra epoca, anzi di un altro universo, e su di lui è difficile aggiungere qualcosa di nuovo a ciò che è stato già detto, già scritto. Vederlo primo difensore, farsi dare la palla a centrocampo e poi arrivare quasi sempre spietato al cospetto degli inermi portieri avversari, è qualcosa di epico; Hamsik sembra trasformarsi. Lo vedi docile e macchietta, con quei capelli giovani e quella dentatura da ciuchino dei cartoni animati, ma dopo un gol gli leggi negli occhi tutta quella sana rabbia sportiva di cui ogni atleta dovrebbe nutrirsi. In modi diversi, sono due cannibali, due predatori che stanno sincronizzando la loro fame alla nostra, di noi tifosi. Il risultato non solo è lampante, ma spesso, come ieri, persino entusiasmante; Lorenzo Insigne è giovane. Fa la linguaccia come Del Piero, un mito decisamente giustificabile per un ragazzino nato negli anni ’90 e persino auspicabile, visti questi miti del calcio contemporaneo, tutti troppo impomatati e tatuati e puttanieri che rimandano più a film porno che a poemi cavallereschi, cose di cui il calcio e forse anche la vita avrebbero di nuovo bisogno. È forte, Lorenzo. Ha passo lungo e corto, velocità di pensiero e piedi che spesso si dimostrano soavi. Ragazzino napoletano a Napoli, sta riscontrando probabilmente un po’ di difficoltà nello gestire le aspettative altrui. Anche Mazzarri non gli facilita il compito, a mio parere, ribadendo all’esterno delle gerarchie che a noi qui fuori, già da un bel po’ di tempo, sembrano decisamente contrastanti con la logica del campo. Insigne è giovane ed è tutto “guadagno” per la società. Il classico gioiello fatto in casa. Come i tortelli di patate toscani o il riso e fagioli di mamma’ , il talento di Frattamaggiore è tanto buono quanto economico, e per questo bisogna ribadirne l’importanza, provando a non sobbarcarlo però di responsabilità che non gli competono, almeno non ora.
Un altro 4 a 2, pure questa volta in rimonta. In automatico verrebbe da pensare ad un napoli in grande condizione atletica, ma in realtà non è così. Per quanto possa sembrare paradossale credo che il Napoli visto con Torino, Dnipro e Genoa sia una squadra che ha bisogno di ritrovare energie fisiche in modo da non sprecarne di nervose ché ogni volta in rimonta, – tanto belle ma tanto nocive per le coronarie – sembra uscire dal rettangolo verde completamente prosciugato. Quando insegui, vedi anche l’Inter di ieri, non puoi sbagliare un colpo. Questa è la vera difficoltà. E ciò comporta che una normale partita a Genova con i rossoblù in piena crisi divenga un altro capitolo dell’Eneide. E va pure bene se finisce com’è finita ieri, ma quanto si paga tutto ciò? In termini globali, intendo. Il Napoli conta non più di 14 uomini adatto all’affrontare un campionato ed una Europa League di vertice. Possono 14 uomini resistere a scontri del genere 3 volte la settimana? Ciò che so del calcio, mi dice ampiamente di no. Nonostante Cavani provenga da qualche parte della via Lattea, ieri si è ben visto sulla sua pelle lo sforzo di giovedì. Ciò non gli ha precluso di essere ancora una volta determinante, ma per una squadra che si augura di tagliare grandi traguardi ci vuole un Cavani sempre al pieno delle proprie potenzialità, specie se tra i suoi compagni migliori ci sono i casi di gente come Maggio e Pandev ed Inler o Dzemaili, che sono più altalenanti nelle prestazioni di quanto non sia Mastella in politica. Mazzarri sembra aver trasmesso questo ai suoi giocatori: finché c’è vita, non ci sarà la morte. Ma guardando la sua faccia in panchina, noti pure i suoi piccoli problemi cardiaci, ti chiedi se questi 11 qua non ci seppelliranno tutti: a noi tifosi e al Mister. Insomma, a me questo Napoli sembra più una squadra da fumetto che una da scudetto. Batman, Wolverine, Iron Man e persino un Clark Kent alla buona. Con un Nick Fury che cerca di tenere insieme gli intenti e poteri di ognuno. Partita dopo partita, vengono fuori tanto i limiti quanto le basi su cui poter costruire qualcosa di veramente importante. Come fu per quell’altra epoca, quel 1984 in cui si palesò alla corte del San Paolo il supereroe più forte di tutti. A lui probabilmente avrei chiesto persino di salvare il mondo. A questi chiederei soltanto di restare e al tempo stesso di provare a convincere il presidente a far sì che nulla possa poi sembrarci sprecato. Di tutto questo talento, nemmeno una goccia.