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Le radici e L’amico di famiglia: da Insigne a Cavani.

È un mondo difficile. Felicità a momenti e futuro incerto.

Sono convinto che quando il Dalì della musica pop, tale Tonino Carotone, ha scritto questa canzone non si stesse riferendo a Mazzarri nella sua avventura partenopea. C’è da dire però che calzano a pennello, questi versi, sul percorso dell’allenatore toscano ai piedi del Vesuvio. È innegabile il cambiamento di quest’anno: spesso scuro in volto, appare sempre affaticato e stanco ed è ancora, se mai fosse possibile, più restio ad accettare un qualsiasi tipo di critica. Mazzarri sa bene cosa si aspettano i tifosi, ma è anche a conoscenza del fatto che gli stessi tifosi non gli imputerebbero mai colpe che, in questo caso, lui realmente non ha. La dirigenza – in primis il Presidente De Laurentis, insieme a Bigon e a tutto l’apparato di scouting – è costantemente sotto attacco di critiche. Sia da quelle frange cosiddette integraliste del tifo (leggi Curva A e Curva B), sia da un certo numero di tifosi che, pur non appartenendo ad un certo tipo di mentalità che attribuisce al Presidente l’atavico ma sempre attuale difetto di essere spilorci, considera inadeguate una serie continua di scelte in chiave generale, partendo da alcuni investimenti mancati finendo ad altri incredibilmente sbagliati. La differenza tra quelli che possono sembrare due schieramenti all’interno dello stesso gruppo è sostanzialmente quella di riconoscere a questa gestione una serie di obiettivi più o meno raggiunti. Fermo restando che nessuno – dai Mastiffs alla tribuna laterale – accetta di buon grado il ruolo di cenerentola a cui ogni tanto capita di restare in piedi dopo la mezzanotte, soprattutto considerando gli ultimi campionati nazionali dove regna un livellamento di mediocre natura e  dove questo Napoli risulta essere squadra molto più organizzata e molto più affamata delle altre compagini che hanno lottato per i vertici – raggiungendoli – in questi ultimi anni.

Smessi i panni del Masaniello toscano, Mazzarri ha cercato col tempo di complicare agli occhi grezzi di noi tifosi semplici la sua figura. Meno pantomime sulla panchina, più arzigogoli nelle interviste. Pur senza perdere la sua viscerale voglia di vincere ma ancor più di accertare la sua superiorità tattica sugli avversari, il pulito Mazzarri ci appare adesso triste e affaticato, corrucciato e pensieroso, raramente sereno. Fossero solo i suoi piccoli problemi di salute, così come ci hanno fatto sapere, riusciremmo a dormire più tranquilli. Se invece ci fossero sostanziali problemi di gestione, allora il tutto ricadrebbe in una solita e cinica lungimiranza: già è complicato cercare di vincere al Sud, ancor di più se gli intenti di chi ci guida finiscono per essere in contrasto. Il Napoli è tosto, rodato, non così altalenante come a volte esso stesso ci porta a credere, con un gruppo coeso che si stringe a sé ogni qual volta i risultati vengono a mancare, riuscendo quasi sempre istantaneamente a risollevarsi. Ieri è stato un aperitivo di quelli speciali. Omettendo, senza volerne offendere le origini, l’avversario che sembra davvero troppa poca cosa per mettersi a confronto, la squadra azzurra ha saputo regalare ai 40 mila uno spettacolo decisamente godibile. Sarà stata l’aria buona dopo l’iniziale tempesta, sarà stato che di mattina sono tutti un po’ più rilassati, sarà che Cavani adesso ci pare come L’amico di Famiglia, che lo conosciamo bene e ce la sentiamo pure di prendercela con lui quando appare palese quella certa tensione che anche lui sembra aver cucito addosso al nostro scugnizzo, quell’Insigne così pieno di talento e napoletanità. Nessuno si sogna di dare addosso al Matador, ma qui a Napoli capisci la grandezza del panorama quando avverti che nessuno è Dio. Forse è colpa del Vulcano che ci fa sembrare tutti piccoli piccoli. O perché forse il messia del pallone ha calcato questi, di campi, e non quelli freddi di Manchester, quelli piovosi di Milano o quelli spudoratamente lussuosi di Madrid e Monaco. Fatto sta che a Cavani parliamo come fosse uno di famiglia. Qualche colorita imprecazione dopo che si mangia gol che a noi, visto chi è lui, sembrano facili facili. Lo amiamo così tanto, ma non da offuscarci la vista. Non come quei mariti cornuti ma ubriachi e felici del loro non sapere. Continuo a pensare che vada seminato il campo, a Lorenzo. Questo Cavani può e deve capirlo. Deve accettarlo. Accettare che abbiano lo stesso ruolo, che noi lo amiamo quanto amiamo lui, pur non avendoci dato ciò che lui ci ha dato in questi pochi anni. Perché se Mazzarri è sia un padre autorevole ma giusto, sia madre che gestisce uno solo stipendio facendone sembrare 4; se De Laurentis è uno Zio ricco e lontano che tarda a tirare le cuoia; se Cavani è un fratello responsabile che ha lasciato la scuola e ha cominciato a lavorare in modo da poter aiutare in casa nonostante le grandi mire e le enormi potenzialità e su cui tutta la famiglia ha finito per investire tutta la propria voglia di riscatto; se Aronica e Cannavaro sono due sorelle un po’ tonte ma leali e sempre pronte a dare una mano. allora Lorenzo è il fratello piccolo, il più piccolo, quello geniale, un po’ guascone un po’ indifeso, tanto grezzo quanto talentuoso, una finestra poetica su di un futuro incerto per sua stessa definizione.  Come in ogni famiglia, l’intento deve essere unico malgrado le singole volontà. Senza dimenticare di saper riconoscere alcune cose che risultano essere più importanti di altre. Non ce l’avrei con nessuno di essi, qualora scegliessero d’andare via, uno per uno, per raggiungere più prestigiosi traguardi, più copiosi compensi. Ed è proprio per questo che, vittima del mio ardore romantico, vorrei che ogni elemento di questa grande famiglia si prendesse cura di colui che molto probabilmente sarà qui quando tutti gli altri saranno già andati via. Insigne rappresenta ogni piccolo e grande sogno partenopeo legato al calcio. Le radici non sono e non devono essere un elemento di divisione, di rabbia, di razzismo o atteggiamenti di superiorità. Le radici, ancor di più in questo paradossale mondo del calcio, diventano un legame inattaccabile fra un’entità astratta fatta di uomini, capitali, stipendi esorbitanti, inciuci, e una città. Anzi, un mondo. Quello scugnizzo di Frattamaggiore che caccia la linguaccia e qualcuno vorrebbe persino fargliene una colpa, che gioca nella nazionale, che disegna traiettorie manco al posto dei piedi avesse Modigliani, che parla sfasterius’, che vuole segna’ a juve, con la risata timida e pura dei ragazzi dei quartieri popolari,  rappresenta più di un calciatore. Che le sue spalle siano abbastanza forti o meno, non importa. Lui è Napule che gioca. I panettieri che cacciano il pane cotto a legna, i pescatori la domenica alle 4 al mercato del pesce di Pozzuoli, i disoccupati fuori Palazzo San Giacomo. E lui questo lo sa. Perché è come loro, perché è come noi.

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