Vorrei cominciare da una domanda. Ha poco a che fare con lo sport, o forse no. Cos’è chi vi emoziona?
Il Napoli che si è visto a Bergamo sicuramente no. Orfano di Cavani, ci ha posto e si è posto davanti tutti i vituperati limiti di cui si è sempre detto o perlomeno accennato. Una manovra poco fluida che quando è affiancata da una strana flaccidità fisica permette pochissimi sbocchi. Parliamoci chiaro: nell’economia di un intero campionato è più che lecito che in alcune partite non la si butti dentro alla prima, alla seconda e persino alla terza palla gol, seppur nitide come quelle capitate contro l’Atalanta. Del resto già col Chievo erano suonati i ridondanti campanelli d’allarme, che avevano visto un la compagine azzurra sciupare nel primo tempo almeno 5 chiare occasioni da rete. Al di là di ogni soggettiva valutazione è comunque apparso chiaro il deficit realizzativo dei partenopei quando manca il Matador. Poi è arrivato il Torino, e con lui è tornato chi credevamo pronto a matarlo , e pure così è stato: un’insidiosa per quanto sciapita palla in mezzo di Hamsik e il fu El botija fa 1 a 0. Ma non è bastato nemmeno questo. Di rado mi è capitato di assistere a partite più brutte di quella del San Paolo domenica. Un Napoli completamente obliato, senza un filo di logica nemmeno nei passaggi più elementari. I movimenti seppur rodati imposti da Mazzarri sembravano sciatte coreografie portate in scena da un’accozzaglia di inebetiti e spompati calciatori della domenica piuttosto che il marchio di fabbrica che ha tatuato nuovamente il nome del Napoli ovunque si parli di calcio in giro per l’Europa. Quella che conta.
È una vicenda umana, questo Napoli. Qualcosa caratterizzato dal “momento”, dal connubio fisico e mentale dei suoi gregari e dalla lucidità in partita di ottimi giocatori come Inler, Hamsik, Pandev e lo speciale Insigne. Il gelo oramai storico che s’evidenzia fra Mazzarri e la società, impone una certa cautela nel porsi obiettivi. Nell’entusiasmarsi, così come nel deprimersi. Ma come per ogni fisarmonica, anche l’anima ha bisogno di repentine chiusure e aperture per poter suonare. Un tifoso rimette nel calcio proprio questa necessità. Lasciare che l’anima vibri, e doverne espressamente sentire la musica. Ch’essa sia l’Inno alla gioia o un Requiem. Che senso ha chiedere equilibrio? Come possono pensare di chiederci lucidità, dentro o fuori l’arena. Se spogliamo il calcio dell’impeto della poesia, cosa gli rimane?
Mazzarri è un ottimo allenatore. Persona dalle indubbie capacità tecniche e molto bravo nel creare un limitato fortino, fatto di non troppi uomini, come dentro un pollaio, preferirebbe esser lui il Gallo dalla sveglia più altisonante. E così facendo crea un distacco, seppure involontario, fra coloro che vengono sovente chiamati alla sfida e gli altri che finiscono per diventare seconde linee rispedite a casa proprio mentre la guerra impazza. De laurentis fa film. Con fierezza ci racconta dei suoi panettoni natalizi , faccia sorniona e sorridente da fornaio. Tiene il Napoli ben saldo nei conti, cerca di tenere lontani (salvo per quelli che i problemi li hanno creata da dentro, come Gianello, Quagliarella, Gargano) tutti i personaggi che potrebbero disfare quello che è un clima organico, sempre abbastanza coeso, di certo mai inasprito, complici anche i buoni risultati di questi anni. Per quanto mi riguarda è presidente accorto, passionale come piacciono a me, economicamente e strategicamente preparato, non certo un mecenate, non certo un Sant’Agostino scevro da mire d’incassi e plusvalenze. Imparasse pure ad evitarsi situazioni come Vargas, e si circondasse di qualche mastino oltre che dei delicati Bigon, allora potrebbe realmente far inseguire a questo gruppo sogni di vittoria. Perché per vincere, la storia è così gentile da dircelo ogni giorno, si ha bisogno di tutte le componenti: giocatori importanti affamati ed esperti; allenatore dotato e parafulmine; un ambiente entusiasta; acquisti mirati e uomini che sappiano fare da collante in ogni situazione tra calciatori, squadra tecnica e società. Oppure sei la Juventus, ma questa è un’altra storia e mettiamola lì, da parte, come direbbe l’amico Lucarelli.
Credo che questa epoca azzurra abbia la possibilità di tagliare qualche altro traguardo. Oltre la Coppa Italia e quell’entusiasmante cammino in Champion’s dell’anno passato. Probabilmente bisognerà superare squadre e i vari Rizzoli d’Italia, ma ognuno di noi che tifa e segue questa squadra avverte che il momento possa esser propizio. Investimenti accorti, continuità tecnica (andasse via Mazzarri a fine anno, non esiterei due volte sul cercare di convincere Montella da Castello di Cisterna), capacità di stare al passo con un tempo che richiede ingaggi importanti, sangue corrente nelle casse, stadi futuristici (o almeno meglio di questo San Paolo) dal grosso ritorno economico, settori giovanili capaci di sfornare calciatori pronti ad inserirsi subito. Tutte cose di cui si sa già, comunque. Di cui si parla da 8 anni. Come avere un vice Maggio o qualcuno che segni quando….
Alcuni momenti sono davvero cruciali. Precisi istanti, racchiusi in pochi o svariati minuti, in cui capisci o ammetti il perché di certe cose. Come l’amore per il calcio e quell’impeto che nasce quando in campo c’è la tua squadra del cuore. Non importa se hai 15 o 70 anni, non importa se conosci meglio Nietzsche o Checco Zalone. Quando ti trovi davanti a dei momenti come ieri, non importa quasi più niente. Le ombre smettono di esistere, smette di esistere persino il dubbio che cercano di insinuarti quelli che del calcio non sanno che farsene. Voi lo conoscete l’Inno alla gioia? Quella sonata incredibile di Beethoven. La conoscete, l’avete sentita. Ne sono certo per tutti. Alcune cose le sappiamo tutti, perché ci riguardano tutti. Ci smuovono tutti. Ad ognuno a suo modo. Beethoven l’ha composto da sordo. Un’opera di musica classica, forse la più bella e famosa di tutte le epoche, composta da uno che era sordo, anche se Beethoven.
Edinson Cavani da Salto, Uruguay. Ieri era sordo di un Napoli che proprio non riesce a stargli dietro. Ma forse non è colpa loro. Guardando quel Cavani, ieri, i 4 gol e il resto, mi è venuto da pensare che di Beethoven ce n’è uno soltanto per ogni epoca. Ogni volta che fa gol, ogni volta che si scaraventa digrignando l’ovale e allargando le braccia verso i tifosi, ogni volta che stupisce persino il pallone che si vede lanciato in porta da ogni posizione in ogni situazione, ogni volta che compare in difesa e in ogni parte del campo a lottare manco fosse l’ultimo giorno del mondo e lui il creatore, io sento l’Inno alla gioia. Sento Beethoven.
E a voi, a voi cos’è che v’emoziona?