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E VENNE IL GIORNO… 20 OTTOBRE: POMERIGGIO SCUDETTO.

Ci siamo persi qualche passaggio. I giornalisti del secolo XIX hanno scritto che il Napoli oramai è da equiparare alla Juventus, per sudditanza e ruberie. L’1 a 0 lì di Genova è figlio di una partita giocata sui nervi e vinta dalla squadra che è riuscita a creare dei dubbi alla difesa altrui, anche se solo in sporadici episodi. Una partita decisamente brutta, ma non di certo “rubata”. Poi siamo volati ad Eindhoven. Con gli stessi nani da giardino con cui abbiamo asfaltato la pratica svedese. Dicono siano brava gente, gli abitanti di Stoccolma, ma non credo che ad oggi si possa annoverare anche il calcio fra le loro qualità. Il risultato è stato un laconico 3 a 0, che poteva anche essere 6, ma la realtà, a dispetto di quello che ha dichiarato l’anonimo Mertens, è che ad oggi il Napoli non è una Doppia-Squadra, e quindi non può affrontare certe partite rinunciando a tutti gli elementi cardine. Non mi addentrerò sulla inadeguatezza totale di gente come Vargas o Dossena, ma in maniera provocatoria, ho sperato che la Guardia di Finanza, nei suoi controlli informativi al Club, riscontrasse un qualche tipo di broglio circa l’acquisto del cileno, ché se veramente è stato pagato 12 milioni di dollari, mi fa venire seri dubbi sulla bontà del lavoro degli scout e affini.

Arriviamo a ieri. Un’attesa molto snervante, nonostante si fosse soltanto alla settima giornata. La Juventus che batte in maniera “fortuita” un Siena arcigno ma comunque privo di quasi ogni tipo di spessore offensivo, ci ha lasciato tutti con l’amaro in bocca. Ma al posticipo siamo arrivati carichi. Noi e la squadra. Parlando con qualche tifoso che si recava allo stadio, ho capito di quanto non fosse l’udinese, l’ostacolo, quanto piuttosto riagguantare la vecchia signora, in modo da poterle stare faccia a faccia il 20 Ottobre. Sì, perché dopo la sosta il menù offre il piatto speciale della casa: Juventus – Napoli, entrambi da capolista. Siamo a circa un quinto del campionato, e i giochi non sono fatti né saranno lontanamente fatti dopo la sfida di Torino, ma stiamo respirando atmosfere passate, sapori epici riaffiorano alla bocca, ci sono indizi di grande imprese. Tornando alla partita, è stata battaglia vera. Guidolin sta rimodellando la sua udinese che sembrava tramortita dopo l’uscita ai calci di rigore dalla Champion’s, facendo leva su aspetti diversi: sostanza e tecnica, più e come degli altri anni, nonostante interpreti giovanissimi e totalmente diversi dal passato. Di Natale è palesemente in ombra, non essendo più in grado di affrontare 3 partite alla settimana, ma pian piano l’allenatore di Castelfranco Veneto sta trovando le contromosse, recuperando un discreto Maicosuel e rafforzando un centrocampo orfano, oltre ai ceduti Isla e Asamoah, anche di Armero che sembra non trovarsi più a suo agio fra le praterie nostrane. Inler sale finalmente in cattedra, la difesa sbava ma il concetto globale di grande squadra che sembra oramai consolidato, permette di non far diventare un errore fonte di confusione o di isteria, così che i giocatori, come nell’occasione del pareggio di Pinzi ieri, riescano a ripartire subito, testa bassa, come niente fosse successo. 1 a 1, palla al centro, azione veloce e roboante, Inler inventa un filtrante alla Pirlo, Pandev sciorina fantacalcio e alla sua maniera riporta gli azzurri in vantaggio prima dello scadere del tempo. Maggio fa del lavoro oscuro, anche se non sembra ancora la folgore che conosciamo. Zuniga è un operaio circense, che però gode la totale fiducia di Mazzarri. Berhami fa legna e Cavani e Pandev cuciono rime di calcio anche quando sembra proprio non essere la loro serata. E poi lui.  Quella cresta che sembra puntare dritto alla sua Banskà Bystrica. Quella bocca larga come il Trasimeno, quei dentoni che sembrano usciti freschi da una di quelle caricature animate degli artisti disegnatori seduti sotto il portico degli Uffizi. Da ombra di se stesso, si è trasformato in super eroe contemporaneo: Super Marekiaro!

Il talento è stato sempre lì. Lo si vedeva, lo si sapeva. Ma è palese che l’uscita di scena di Lavezzi e il conseguente cambio dell’applicazione del modulo hanno letteralmente vestito d’argento vivo il fuoriclasse slovacco. Sempre nel vivo dell’azione. Pronto a ripiegare come ai vecchi tempi, ma adesso con una lena incredibile nel ripartire, nel farsi dare il pallone, nel riempire gli spazi delle povere difese altrui. Ne incensa le doti umane e di giocatore di squadra, l’allenatore, ma Hamsik è talento puro. Cristallino. Rabbia, concentrazione, umiltà, palleggio, velocità, tiro: forse al nostro marekiaro mancava soltanto un po’ di carattere. Ed ora che il Masaniello è volato ai piedi della Senna, eccolo venir fuori in tutto il suo splendore, in tutta la sua determinazione. A questi 13 calciatori e al suo condottiero di San Vincenzo, pare non mancare proprio niente. Niente, per combattere fino alla fine con uno strapotere più blando all’apparenza ma sempre vigile e attento, com’è quello delle compagini del nord su questo nostro campionato. Non so se i tempi siano maturi. So che il Napoli è in attivo, in quest’epoca del Buddha economico, so che non firma ingaggi folli, so che preferisce una certa continuità ad un’insensata voglia di cambiamenti. Non tutto è perfetto. Come logica impone di dire, e di vedere. Ma finalmente sembriamo pronti. Per certo, so che i tifosi lo sono. Al di là di qualsiasi discorso sociale. E nonostante lo spettacolo indegno da parte di una tv, Sky, madre padre e padrona di questo calcio, che ieri concentra l’80 percento della trasmissione su di un derby inguardabile, tra due squadre che il Napoli batterebbe in un qualsiasi Giovedì di coppetta, relegando al San Paolo battute come “vittoria sofferta”, o domande come “ora potete dire di essere l’anti-juve?” .
L’anti-juve. Come se fossimo noi l’antidoto a qualcosa di malato. Se una cosa l’ho imparata, in questi 20 anni passati a guardare calcio, è che per vincere bisogna essere la malattia. Questo mio Napoli sembra finalmente esserlo. Fa male. Fa male a chiunque provi ad intralciarne il cammino.

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