Edinson Roberto Cavani Goméz. Per 72 volte con la maglia azzurra i suoi lineamenti tanto docili quanto sgraziati si sono piegati a formare smorfie di giubilo, mimando urla silenziose nei baccani d’arena di tutt’Italia. Per poi finire in giochi di sorriso e marionette, che i calciatori destinano ogni volta ai propri figli, benedizione unica a quanto pare, persino per molti di loro che l’infanzia manco l’hanno avuta.
72 gol in 101 partite col Napoli: impressionanti dati numerici, impressionante la fame che il Matador dimostra ogni qual volta la palla supera la linea. Se fossimo in un libro di geometria, Cavani sarebbe la “leva per sollevare il mondo”. Diciamolo sempre più serenamente: Scudetto. È questo che pensiamo, anche quando assistiamo a pareggini sciapiti e, per certi versi, inspiegabili. Ma ancora di più ieri. C’era la Nuova Lazio targata Petkovic. Una sorta di corazzata moderna, solida in difesa (due gol subiti in 5 gare ufficiali, prima di ieri), un centrocampo che pare un giusto mix di qualità, sostanza e indagati; un attacco spietato che racchiude in Klose ed Hernanes l’esperienza e la tecnica di cui ogni squadra con velleità dovrebbe fregiarsi. Ma non ieri. Non al San Paolo, non con questo Napoli e questo Cavani. Nonostante le frasi poco sibilline del generale bosniaco: “non c’è squadra più forte di noi.” Ma ieri sì. Ieri c’era, al San Paolo. Perché la corazzata mazzarri riesce a sbagliare partite dove la tensione cala, ma quando gli si presenta una preda di alta levatura, beh, allora azzanna con una velocità e una voracità tali da non lasciare spazio e tempo a nessuna compagine. Proviamo ad usare la memoria. In questi anni mazzarriani conto soltanto 4 partite cruciali in cui è venuto meno lo spirito e, con esso, il corpo: Villareal – Napoli, ritorno di 16esimi di Europa League; Milan – Napoli successivo, in piena lotta scudetto; Chelsea – Napoli, ritorno di ottavi di Champion’s League, dopo un funesto (per i blues) e roboante 3 a 1 casalingo che, penso a Maggio, doveva essere un poker; e infine Bologna – Napoli dello scorso anno, quando la zona Champion’s, per grossi demeriti altrui, era ritornata sotto le grinfie partenopee. Ecco. 4 righe. 4 partite toppate. Certo, si dirà, i campionati, così come i tornei importanti, si vincono a tappe, si vincono già dagli allenamenti. Niente di più vero. Ma quando il Napoli ha annusato il sangue, ha sempre reagito a suon di gol e prestazioni dinamitarde. Altro che capodanno, altro che Las Vegas: Hamsik, Cavani, Pandev, Insigne, Inler, Berhami, Cannavaro, De Sanctis, Maggio e persino Zuniga, diventano fasci di luce accecanti, quando la posta è alta, quando c’è dall’altra parte chi sente o crede (o spera) di essere più forte.
Ieri il Napoli ha giocato i primi 10 minuti, provando a capire dove potesse arrivare la Lazio, studiando l’avversario e le sue mire. Dopo è stato soltanto annichilimento continuo. Annullare Hernanes, togliere aria a Klose, ridicolizzare la capacità di recupero di Ledesma e Mauri, che avrebbe poi dovuto anche impostare, mandare a zonzo sistematicamente Ciani e Cavanda, Konko e il povero Marchetti. Una prova magistrale, di pura Folgore, rendere la buona Lazio che mette paura al Tottenham al pari del Pergocrema.
Sono cannibali. Che ora stanno primi in classifica. E se assisteremo ad altre Catania , chi vi scrive vi anticipa che sarà qui ancora a sottolinearlo. Perché il calcio è un divenire continuo. Ma ci sono cose acquisite. Come la concentrazione e l’acume di Mazzarri nel preparare ogni partita. Come la fame di Cavani, ad esempio. Uno che ha segnato 72 gol in 101 partite. Che interpreta la filastrocca dei leocorni – destinata probabilmente al piccolo Bautista – dopo aver piegato letteralmente le dita al portiere avversario. Uno che cerca di calmare un Vargas che al 90′ risulta ancora confuso, nervoso, dopo quasi un anno trascorso ad assimilare i modi di fare di quella che è senza dubbio una grandissima squadra; con le mani gli chiede calma. “Andiamo a lottare per questo scudetto”, sembra dire. “Seguitemi”, dicono i suoi occhi.