Intervista a cura di Salvatore Iorio
Abbiamo incontrato il regista corso Paul Vecchiali (foto: Ufficio Stampa Napoli Film Festiva), classe 1930, una delle glorie del cinema francese cui il Napoli Film Festival 2012 ha dedicato una memorabile retrospettiva, la prima a lui dedicata in Italia da molti decenni, con 12 titoli di cui ben 9 inediti in Italia. È stata l’occasione per ripercorrere 50 anni di carriera vissuti sempre all’insegna della fedeltà al proprio credo artistico ed in continua tensione sperimentale.
Mr. Vecchiali, i suoi film sono così coinvolgenti, densi, anche con l’ambizione di piacere al pubblico, che non ci si spiega come mai abbiano sempre incontrato così tante difficoltà di distribuzione in Italia. Lei se l’è chiesto, suppongo…
C’è qualche eccezione: ad esempio Corps à cœur (1978) è stato campione d’incassi in Italia all’uscita, più che nella stessa Francia, battendo i coevi film con Belmondo e Delon protagonisti; in Francia però ricordo che rimase in cartellone per quasi due anni nelle sale di Parigi, grazie a un prodigioso passaparola. Anche gli altri due miei film usciti in Italia, Rosa la Rose (1986) e Once More (1988) hanno ricevuto una buona accoglienza, pur incassando meno di Corps à cœur (anche se Rosa la Rose incassò 15 milioni di franchi all’uscita in Francia).
Ritornando al problema della distribuzione dei suoi film…
Intanto, anche in Francia ho avuto gli stessi problemi e devo dire che la faccenda non mi interessa, nel senso che faccio i film che ho voglia di fare e, soprattutto, non faccio due volte lo stesso film; dopo il successo di Rosa la rose in Francia e le notevoli vendite all’estero, mi sono state proposte 40 sceneggiature su prostitute ma io le ho rifiutate tutte, senza sfruttare questo «filone», io che l’anno prima avevo realizzato un film quasi senza sceneggiatura, Trous de mémoire; non ho agganciato il filone come fa chi cerca l’oro: io non sono un cercatore d’oro, bensì un ricercatore di scrittura filmica, è la sola cosa che mi interessa; vedo che molti autori francesi e americani (in Italia, non so) si autoconsiderano degli dèi: io, al contrario, mi considero solo un uomo, semplicemente un uomo, libero, in relazione a tutto.
Veniamo alla musica. Lei ha una caratteristica peculiare: fa preparare la musica dei suoi film prima di cominciare le riprese. Come nasce questa pratica e come influenza poi il film?
Per me la musica deve essere un discorso parallelo rispetto alle immagini, come gli attori, la scenografia, ecc. Ricordo che una volta, per un mio lavoro televisivo, un direttore di produzione mi disse che avrei dovuto far comporre la musica dopo le riprese: io gli risposi che era come fare un film con Alain Delon con l’attore indisponibile, come girare lo stesso il film e poi metterci dentro Delon…è ridicolo! La musica invece deve essere in osmosi con l’immagine.
E su questo punto devo dire che è stata una fortuna per me aver incontrato Roland Vincent, il compositore delle musiche di quasi tutti i miei lavori (qualcosa come 80 complessivi insieme, tra film, televisione, canzoni, teatro, documentari, ecc.), che per me è come un fratello.
Cosa l’ha colpita nell’arte di questo musicista?
Vincent è un compositore che proviene dal variété, è un melodista. E io ho sempre avuto bisogno delle melodie nei mie film, di una traccia-guida in un certo senso. Da questo punto di vista sono rimasto un po’ bambino… È come se la musica nei miei film fosse spettatrice delle vicende, ed in fase di montaggio (di cui spesso mi sono occupato in prima persona) io le attribuissi il compito di guardare alle storie ora con tenerezza e partecipazione.
Da dove nasce il suo amore per le canzoni, lei che ne ha scritte tante per i suoi film?
Quando le parole non sono più sufficienti, la canzone le prolunga… Sono stato molto influenzato in tal senso da un film di Anatole Litvak, Coeur de lilas (1932) che ho visto da giovane, in cui il personaggio di Jean Gabin vede in un locale la donna che ama in compagnia di un poliziotto e va in collera, ma non la può gridare; allora chiede una birra e… si mette a cantare! Sfoga così la sua rabbia, cantando una canzone che non c’entra nulla con la situazione, che non parla di rabbia… È questo uso delle canzoni che mi interessa nei miei film. Tra l’altro, a breve uscirà in Francia un disco di Nicole Croisille che contiene un brano scritto da me, una mia poesia che è stata arrangiata con tanto d’orchestra…
Il suo ultimo film, Faux accords, è girato con un I-Phone: è soddisfatto del risultato? Si può dire qualcosa sulla trama? Lo vedremo in Italia?
Io sono uno sperimentatore: quando il mio operatore mi ha detto che dovevo provare a girare con un I-Phone, prima ho tentennato, poi ho accettato il consiglio e sono assolutamente soddisfatto del risultato, specie del suono, che mi sembra sublime; ma non credo che arriverà in Italia: si tratta di un film duro e forse anche noioso…(ride, ndc). Io vi interpreto il ruolo del protagonista, un uomo che, dopo la morte del suo compagno, mettendo in ordine il suo pc, scopre che costui aveva una relazione segreta con un altro uomo su internet: stampa le conversazioni e comincia a «inventare» la corrispondenza che manca, quella del «terzo uomo»; le lettere sono lette fuori campo dagli attori durante tutta la seconda parte del film, mentre nella prima c’è il mio personaggio che, senza dire una parola, compie gesti quotidiani: compra il pane, mangia, mettendo il coperto anche per il compagno morto.
Un ricordo di Pasolini, che amò molto il suo Femmes Femmes (1974), al punto di utilizzare le due attrici protagoniste nel suo Salò (1975)…
Ci siamo incontrati quattro o cinque volte, l’ultima delle quali pochi giorni prima della sua morte: mi diceva che continuava a seguire il mio lavoro con interesse…