Marco Sfogli è un musicista napoletano che a trentaquattro anni è ormai un artista completo e di successo. Figlio d’arte, i suoi genitori sono Fausta Vetere e Corrado Sfogli rispettivamente cantante e chitarrista della storica formazione di canto etnico Nuova Compagnia di Canto Popolare; e il bravo Marco persegue la tradizione familiare come chitarrista nella band di James LaBrie, vocalist degli statunitensi Dream Theater, e nella NCCP di mamma e papà. Virtuoso dello strumento Marco Sfogli è anche una persona alla mano e dal carattere gentile e simpatico. Gli abbiamo sottoposto queste dieci domande alle quali non si è sottratto rispondendo in maniera esauriente e precisa.
Un’occasione, per chi ancora non lo abbia sentito nominare, per conoscere un po’ meglio questo artista nostrano che già da diversi anni fa la spola con studi di registrazione al di là dell’oceano e che possiamo considerare come un grande vanto del panorama musicale italiano ed internazionale.
Marco, nasci in una famiglia di musicisti, qual è stato il tuo primo approccio con uno strumento musicale?
E’ stato un processo naturale, quasi automatico. Sono sempre stato circondato da strumenti musicali fin da quando sono nato e di conseguenza per me è stato come un gioco. Tengo a precisare che non sono mai stato costretto al riguardo, i miei genitori fortunatamente mi hanno sempre lasciato libero di scegliere e anche di sbagliare da solo. E in effetti solo dopo il liceo ho deciso che questa sarebbe stata la mia strada. Ad ogni modo la prima esperienza con una chitarra elettrica l’ho avuta verso i 9 anni quando mi fu regalato il primo strumento ed il primo amplificatore. Strimpellavo, senza troppe pretese.
Durante l’adolescenza hai suonato con piccoli gruppi della tua città. Terminati gli studi so che hai frequentato l’accademia musicale di Roma. Quand’è arrivata la svolta?
Ho frequentato per un anno il Saint Louis College of Music di Roma per rendermi solo successivamente conto di quanto indisciplinato e pigro sia come musicista. E’ stata una bella esperienza ma non faceva per me, sono una di quelle persone che ama fare di testa sua imparando principalmente dagli errori. Però ho conosciuto tante persone, con alcuni sono rimasto in buoni rapporti ed ho un ottimo ricordo degli insegnanti tra i quali mi piace ricordare Lello Panico, persona fantastica e musicista straordinario. Da lui ho imparato ad apprezzare generi musicali che magari prima sottovalutavo o ignoravo totalmente, mi ha aperto nuovi orizzonti. La svolta è arrivata l’anno successivo, era il 2004. Fui chiamato per registrare le chitarre del disco solista di James LaBrie praticamente dal nulla e tramite amicizie in comune, fui provinato e tutto andò per il verso giusto.
Il tuo strumento è la chitarra, le tue composizioni suonano estremamente ispirate: cosa ti fa volare fantasia e dita?
Sicuramente anni ed anni passati ad ascoltare musica a 360 gradi. Credo che per ottenere qualcosa dallo strumento, qualsiasi esso sia bisogna amare la musica indipendentemente dal genere. Lo studio aiuta ad aggirare gli ostacoli in maniera più veloce ma alla base ci vuole tantissima passione, un buon orecchio ed un pizzico di convinzione ed autostima.
Il genere ed i musicisti che ti hanno ispirato maggiormente?
Ho cominciato ascoltando musica che andava per la maggiore durante gli anni ’80 e ne ho tratto inevitabilmente ispirazione. Parlo di artisti come Michael Jackson per esempio, oppure Van Halen in ambito più rock. Successivamente mi sono appassionato ad un certo tipo di metal, quindi gruppi come Dream Theater e Fates Warning per esempio. Oggi ascolto un pò di tutto, cerco di tenermi aggiornato su ciò che mi circonda musicalmente parlando e di integrare il frutto di questi ascolti nel mio modo di suonare.
Nel tuo bellissimo lavoro solista, There’s Hope, hai collaborato con gli amici di sempre. Che tipo di rapporto esiste tra di voi? E cosa cambia quando siete in sala di registrazione o su di un palco?
Innanzitutto c’è un rapporto di stima reciproca e di amicizia con tutti i musicisti che hanno collaborato con me nella realizzazione di questo disco. Per quanto riguarda il discorso di sala ci sono delle differenze da fare, molte delle parti registrate sono state fatte in studi situati in città diverse, con alcuni addirittura oltreoceano per cui ho dato piena fiducia e libertà di espressione e devo dire di essere stato ripagato in pieno. Sul palco con la mia band quando c’è la possibilità di suonare insieme ci divertiamo tantissimo, ho il piacere e l’onore di suonare con persone preparatissime dal punto di vista musicale e tecnico oltre che cari amici.
Hai suonato nei due progetti solisti di James La Brie, Elements of persuasion (2005) e Static Impulse (2010). Qualcuno ti ha definito il nuovo John Petrucci. Cosa pensi di questa affermazione?
Per me è un onore essere accostato ad uno dei chitarristi più influenti degli ultimi 25 anni. Ci sono ovviamente persone che fanno paragoni esclusivamente per il gusto di vedere la tua reazione al riguardo, ma alla fine ognuno ha una sua fonte di ispirazione e non ho mai negato il fatto che una grossa fetta di quello che riesco a fare sulla chitarra lo devo
principalmente a lui. Anche se a conti fatti i nostri stili sono veramente molto molto diversi. Molto ha influito il fatto di essere nato musicalmente parlando con James, aver utilizzato quel tipo di chitarra e quel tipo di amplificazione e di provenire da quel tipo di ascolti musicali per anni. Oggi la situazione è cambiata, il mio stile credo si sia evoluto.
In cosa ti senti partenopeo quando porti la musica in giro per il mondo?
Credo che un certo tipo di atteggiamento e di rispetto nei riguardi delle persone che lavorano per te e che stanno cercando di rendere il tuo spettacolo qualcosa di speciale sia decisamente parte del mio DNA di napoletano. Non do mai nulla per scontato e cerco di ascoltare gli altri per trarne consigli. E poi c’è il discorso legato alla parte musicale, ad un certo tipo di melodicità… ci vorrebbe un capitolo dedicato…
Che effetto ti fa Napoli?
Sono molto legato alla mia città, pur essendo casertano di adozione sono nato a Napoli e mi sento napoletano. E’ una città viva, con i suoi pro e i suoi contro come del resto un pò tutte le grandi metropoli ma non si può certo dire che sia una città che non affascini. E poi sono uno sfegatato tifoso del Napoli Calcio!
Hai già suonato in formazione con la NCCP? Come ti senti quando non suoni hard?
Mi sento a casa, indipendentemente dal fatto che ci siano mamma e papà nel gruppo. E’ una dimensione sonora in cui sono cresciuto, che ho assimilato pur non sedendomi mai ad analizzarla ma semplicemente vivendoci assieme 24 ore su 24 tutti i giorni. E poi con il resto dei componenti ci divertiamo un mondo, è rilassante anche perché le responsabilità dal punto di vista musicale per quanto mi riguarda sono decisamente minori.
Oltre te stesso, chi vorresti ringraziare per il successo ottenuto?
I miei genitori per avermi fatto seguire la strada che ho sempre voluto seguire e non avermi mai imposto nulla, mia moglie ed i miei figli per l’ispirazione costante giornaliera e tuttii miei fan sparsi per il mondo che mi danno la carica e mi spronano a continuare e a dare sempre il 100% in questo meraviglioso cammino che si chiama musica.