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Macadamia Nut Brittle: Ricci|Forte e la Sindrome di Peter Pan ai tempi delle serie tv

Andando forse fuori dagli schemi, proverò a raccontare uno Spettacolo (sì, con la esse maiuscola) che molti di voi hanno visto ma che, ahimè, troppi altri ancora hanno perso. Non mi piace l’estremismo, in guerra come nell’arte, non mi piace la troppa enfasi, quella maniacale ricerca dello stupire a tutti i costi ciò nonostante sfido il mio “bigottismo” ogni volta che me ne si da l’opportunità. Ricci|Forte, nessuna opportunità migliore di questa in città.

Gli autori teatrali che tutta l’Europa ci invidia sono qui a Napoli con uno spettacolo duro, provocatorio, intimamente connesso con il nostro assenteismo culturale. Ecco la Galleria Toledo, una massa di gente accalcata nel foyer del teatro. Non si entra. Aspettiamo fuori in fila, tutti. E’ facile pensare: teatro d’avanguardia, probabilmente entreremo e troveremo gli attori già sul palco pronti per la partenza. E infatti, una volta aperte le porte, entriamo e sono lì i tre dell’Apocalisse (Macadamia, Nut, Brittle) già pronti per l’uso.

Mimano i gesti tipici degli assistenti di volo durante la fase di decollo dell’aereo e in sottofondo si sente sesso. Sì ho detto sesso, il sottofondo è un  pornoun tappeto di respiri e gemiti che accompagna i gesti, perfettamente in sincrono, degli attori. Tre uomini e una Wonder Woman, nessuna scenografia a parte 4 sedie rosa shocking e qualche oggetto scenico. Wonder Woman si avvicina ad un microfono e introduce i 3 protagonisti, rigorosamente gay e poi se stessa, in un monologo che sa di Trainspotting. Ed è questo lo stile di scrittura, un veloce susseguirsi di frasi e battute in sincopato che catturano l’attenzione dello spettatore trascinandolo emotivamente dentro il ventre di una vita bloccata all’adolescenza, al falso mito dell’amore eterno e della vita in stile spot pubblicitario. Leggendo le recensioni di dotti signori ho notato che tutti e dico proprio tutti dicono: «è la storia di quattro adolescenti».

Piuttosto potrebbe essere la storia di quattro trentenni con la sindrome di peter pan bombardati da messaggi pubblicitari e accecati dall’eternità. La storia di quattro persone che non vogliono crescere e che vivono la loro vita facendo zapping in tv, inghiottiti dalle soap opera, masticati dai reality, tritati dalle serie tv ed annullati dai talent show. 

Una storia di tutti noi, proiettati verso l’Amore dei film americani ed una vita in stile “famiglia del Mulino bianco” puntualmente derisi dalla realtà. E’ una scossa, una denuncia alla pochezza del nostro essere moderno. Si ride tanto, durante Macadamia Nut Brittle, si ride di noi. E si piange, si piange per la violenza a cui siamo sottoposti, una violenza psicologica che sul palco è fisica, la vedi ed è chiara già da subito quando Anna/Wonder Woman intona (perché ormai per me tutto è musica) un monologo che svela il proprio amore cieco e frutto delle proprie anelate ricostruzioni del reale, ad un uomo che nel mentre invece di proteggerla la tortura picchiandola e legandola. Il dolore come cartina al tornasole del sentimento, prova d’esistenza e di importanza per qualcun altro: lo vedi quando i protagonisti cominciano un rito orgiastico per scongiurare il dolore generato dalla perdita. E’ tutto tangibile ed evidente e la sintesi è un uomo-coniglio scuoiato lasciato poi al suolo agonizzante ad intonare “Minuetto” di Mia Martini.

Non ci sono limiti, non ci sono veli gli attori sono spesso completamente nudi e quasi sempre in movimento come ad imitare lo scorrere del tempo che inesorabile detta le regole della vita imponendoci la crescita che più passano gli anni e più si allontana, come fossimo destinati a restare giovani in eterno finché la morte non ci tocca da vicino e ci apre gli occhi su una vita che non abbiamo mai voluto vedere,  fatta di occasioni perse , di sentimenti mordi e fuggi e di molta ambiguità.

E’ un tentativo di scuotere i “morti viventi” come un elettroshock. Il problema è che le persone da scuotere in genere non sono quelle che partecipano alla visione di spettacoli come questo. Le persone che frequentano luoghi di cultura sono già belli e informati su quello che è la vita dell’uomo medio. Qualcuno dovrebbe fare in modo che “l’uomo medio” possa vedere opere teatrali come questa, tra l’altro di facile ascolto, intrisa di riferimenti “pop” dall’inizio (lo si vede dal  titolo: un gusto di gelato Haagen Daz.

La dote dei sig.ri Ricci|Forte è sicuramente quella di non lasciarti inerte, una reazione la devi avere, che sia di odio o di amore e mai un sentimento di mezzo.

Amore per la dialettica e bravura di tutti gli attori, odio o ,almeno quasi odio, per il troppo esibizionismo. Mi sono domandata dopo lo spettacolo se fossero necessari la nudità, le orge, il sangue spruzzato sugli attori, le botte, gli sputi, le mollette sui capezzoli dell’attrice, il dilapidare 50/60 muffin, se fosse necessaria la “violenza visiva” per essere incisivi e per comunicare al meglio il messaggio.

No, non credo. Forse no.

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