…Ed eccomi di ritorno, a mettere nero su bianco (pixel su schermi), per continuare e concludere il mio personalissimo viaggio all’interno del Napoli Film Festival XIV Edizione. Eravamo rimasti nella prima parte al 28 settembre, i primi quattro giorni di Fest. La location in seguito è cambiata, siamo quindi passati, dal Grenoble, l’Istituto di cultura francese di Napoli, al suggestivo Castel Sant’Elmo, sito a San Martino, zona Vomero.
I bagni del castello sono davvero fantastici, ognuno con il proprio lavandino, sapone e salviette, meglio di quelli di casa mia.
Molti gli eventi e le proiezioni da vedere, quindi anche ‘sta volta, ho dovuto scremare e prediligere ciò che valeva e ciò che non valeva la pena di seguire, secondo il mio punto di vista s’intende. Un dovuto parterre per fumatori, poi, sarebbe stato l’ideale, dati i tempi serrati tra una proiezione ed un’altra. Ne ho comunque guadagnato di salute. Sabato 29 settembre, in mattinata, c’è stata la proiezione del documentario musicale di Carlo Luglio, Radici, in uscita in questi giorni anche in DVD, che vede come protagonista Enzo Gragnaniello, insieme all’amico Tony Cercola, in una sorta di viaggio storico nella nostra amata città. Prodotto dai Figli del Bronx di Gaetano Di Vaio, e girato in formato misto bianco e nero e colore, dal sempre interessante regista napoletano Luglio, il film è risultato essere uno dei migliori prodotti presenti al Festival. Peccato che gli organizzatori l’abbiano inserito in un contesto mattiniero invece che serale, sicuramente avrebbe attirato più pubblico, dandogli una migliore visibilità.
Davvero buone “ le bombe” alla nutella del bar di fronte l’auditorium. Molto emozionante poi anche la performance live di Gragnaniello, ospite all’evento.
Domenica 30 settembre, nella sezione Incontri, c’è stata poi l’interessante presentazione del volume, a cura di Salvatore Iorio, Cronache Futuriste ( 1932 – 1935) di Emanuele Caracciolo, edito da Cinemasud. Un libro che racconta la toccante, quanto tragica storia di un giovane cineasta, Caracciolo per l’appunto, che è stato tra le vittime nel 1944 della strage nazista delle Fosse Ardeatine. Iorio, dopo minuziose ricerche è riuscito a ricostruire la storia di questo singolare artista, contribuendo anche a rimettere in circolazione il suo primo e unico film, Troppo tardi t’ho conosciuta (ritrovato nella cantina di un cinema di Cuneo), una vera chicca, proiettato in esclusiva, dopo l’incontro introduttivo. Una commedia sofisticata a sfondo operistico del 1940, che segna anche l’esordio, come attore e produttore, del grande Dino De Laurentiis.
Nella stessa giornata, ho poi deciso di conoscere meglio Paul Vecchiali, regista corso… con lui mi sono addirittura trovato a fare pipì, fianco a fianco…Con la rima: Pipì con Vecchialì. Une Vie Chantèe, di Tiziano Sossi, autore di documentari oltre che tra gli organizzatori quest’anno del Festival, ha raccontato con tono informale, in una lunga intervista a casa dell’autore, il suo cinema, le sue ossessioni visive, le difficoltà produttive di un cineasta così personale ed anarchico, qual’è Vecchiali. Il documentario era però ridotto nel montaggio, dato che la durata totale rasentava le quattro ore circa, un bel “mattone”. Di seguito, poi c’è stata l’anteprima mondiale, dell’ultimo film dell’autore d’oltralpe/oltremare, Ritorno a Mayerling, alla presenza del regista ospite, in una sala semi deserta. Davvero una figuraccia da parte del pubblico napoletano. Un vero peccato, perché il film, seppur un tantino difficile nella narrazione, conteneva momenti surreali e divertenti di indubbio talento cinematografico che meritavano comunque la visione.
Lunedì 1 ottobre, è stata poi la volta di Tinto Brass, che all’ultimo, non è potuto essere presente come ospite speciale per motivi di salute, e del bel documentario intervista, diviso in tre parti, a lui dedicato, Politicamente Scorretto, dell’onnipresente Tiziano Sossi, l’ho visto anche al bar che faceva i caffè. Il film, con il solito tono informale, racconta con dovizia di particolari la carriera dell’autore d’adozione veneziana, mettendo in luce non solo l’aspetto più erotico e trasgressivo del cineasta, ma anche la sua profonda cultura cinematografica e l’importanza dei suoi film passati, tra aneddoti spassosi, e ricordi di formazione. Dalla collaborazione con grandi attori come Alberto Sordi, Peter O’Toole e Vanessa Redgrave, solo per citarne alcuni, ai difficili problemi con la censura, agli inizi a Parigi in piena nouvelle vague, Brass appare come un cineasta sottovalutato, soprattutto in Italia, che merita sicuramente una degna riscoperta, uno dei primi nel nostro bel paese ad “alzare la testa”, con goliardica intelligenza, e non soltanto quindi il regista/maniaco ossessionato dalle tette, dai culi femminili e dalle belle gnocche, come molti pensano.
Martedì 2 ottobre sono poi riuscito a recuperare, in prima serata, la replica del documentario sugli Squallor a cura di Carla Rinaldi e Michele Rossi, che avevo perso al PAN. O’ tiemp’ se ne và, ma comunque sono riuscito a beccarlo alla fine. Presentato al Festival in un montaggio ridotto di circa 85 minuti, la versione integrale, di circa due ore, uscirà a febbraio in DvD ricca di contenuti extra. Un progetto lungo nella sua gestazione: circa cinque anni di raccolta di interviste e materiali vari, che racconta in tono leggero ma preciso, la lunga carriera del primo gruppo trash/demenziale nostrano. Dal 1973 anno del loro primo album, Troia, al 1995, gli Squallor hanno segnato in Italia una vera e propria rivoluzione discografica, difatti i componenti del gruppo erano di giorno, affermati manager e musicisti di talento dell’ormai scomparsa CGD, la più importante major musicale italiana dell’epoca, mentre di notte si trasformavano, aiutati anche dal JB, negli Squallor, gruppo di amici cazzari che dissacravano con pungente intelligenza e sguaiata ironia le mode musicali dell’epoca.
Sempre martedì poi in tarda serata, ho assistito al più bel film del Festival, Corpo al Cuore (1978)dell’amato compagno di toilette Paul Vecchiali, una tormentata storia d’amore tra un meccanico aitante ed una matura farmacista, il film ha avuto una produzione tormentatissima, un vero e proprio parto, nove mesi di riprese, interrotte spesso per recuperare fondi per produrlo, ma alla fine dato il risultato ne è valsa sicuramente la pena. Una pellicola toccante, mai scontata, con un montaggio ed una fotografia davvero notevoli.
Last but not least, mercoledì 3 ottobre, c’è stata la doppia proiezione, sia alle 21,30 che alle 23, per affluenza di pubblico, dello straordinario documentario Enzo Avitabile Music Life diretto dal premio Oscar, Jonathan Demme, che ha partecipato quest’anno anche al Festival del Cinema di Venezia, fuori concorso. Il film, attraverso suggestive performance live, con musicisti ospiti da tutto il mondo, all’interno del Salone Margherita di Napoli, racconta la vita, la passione e l’anima nera, di uno dei più grandi musicisti attualmente in circolazione sul nostro territorio. Arricchito da nobili dichiarazioni e spaccati di vita autentica, il documetario, svela l’immenso talento di Avitabile, un piccolo uomo, dalla grande anima.
In conclusione , il Napoli Film Festival di quest’anno, conteneva in sé un enorme potenziale, c’era davvero del buono, soprattutto le hostess di sala, ma da un punto di vista formale si poteva fare di meglio, con una maggiore attenzione anche alla qualità di alcune proiezioni e alla puntualità nel rispetto di un programma troppo discontinuo. Il tiro può essere sempre aggiustato, speriamo nell’anno prossimo. Nel frattempo ci siamo goduti un’occasione.
Ah dimenticavo i concorsi! I NFF ha ben tre sezioni di concorso per tre premi: Sotto gli occhi di tutti ha vinto il concorso Europa-Mediterraneo, un film, diretto da Cedric Jimenez, è stato premiato dalla giuria composta dal (ma va?) videomaker Tiziano Sossi, Romano Milani (segretario nazionale del sindacato giornalisti cinematografici italiani) e Matilde Tortora (critica e saggista cinematografica).
Speciale e meritatissimo invece il Premio Schermo Napoli Documentario al coraggio di un film, di un uomo e di una troupe: – ha vinto invece Resistenza Artigiana di Antonio Manco, definito, si legge nella motivazione “Un ritratto puntuale di un artigiano, non solo per mestiere, testimonianza di un’Italia che resiste con eleganza al mercato, alle critiche, a tutto”. E io voglio sottolineare la sua poesia, che è fatta in buona parte di attenzione e napoletanità.
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