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Appunti su un concerto. Capossela all’Arenile con la Banda della Posta

Capossela all'Arenile Quando arriva sul palco Vinicio Capossela indossa cappello e giacca bianchi, brandisce una pistola giocattolo e pum!, spara in aria; finge di cavalcare un mustang sulle note della più nota sigla western. Applausi, sembra, entusiasti. La Banda della Posta è una paranza di anziani musici di paese, con le facce rubizze e scolpite. Vengono tutti da Calitri, paese originario di Caposssela. Il cantautore li presenta con clamore: “Matalena: classe 1933, cinquanta anni di sposalizi sulle spalle!”. E via con rumba, milonga, valzer. Poi incoraggia il pubblico:”Prendete una donna, stringetela e lasciatevi andare al ballo“. Lui, per dare l’esempio, abbraccia una scopa, disegnando passi un po’ etilici. Il pubblico lo segue, fiducioso.
Tre ragazze, dietro di me, allegre senza vino, saltano avvinghiate l’una all’altra. Poi una di loro si ferma, preoccupata: ma canterà anche una delle sue canzoni? – Boh, rispondo, concisa.
Ma eccolo che attacca Con una Rosa, e poi subito dopo, Che cos’è l’amor. Esultanza. E perplessità. Arrangiati dalla Band di Calitri, i suoi brani a stento si distinguono dalla carrellata di polke e mazurche. E’ li la sua radice o cita? Una cosa è certa. Si balla forte. Vengo sballottata a destra e a manca da giovani e diversamente giovani. C’è pacifica baldoria finché non si avvicina una ragazza alta e nerboruta e scaraventa noi piccolette via dai primi ranghi sotto il palco. Tentiamo una difesa. Lei reagisce menando le mani. Nel bel mezzo della festa si sta per scatenare una rissa. Mi chiedo se anche questo non faccia parte di questo pacchetto di esperienza: Festa di Sposalizio per Folla Grande.

Ovviamente, dietro tutto questo baldanzozo sfoggio di “rusticheria” si cela qualcosa di più sofisticato. L’idea è quella di far ballare dei giovani (e meno) metropolitani sulle musiche non già delle loro madri, ma delle loro nonne di campagna. E di scagliare – così come si scaglia il riso per buon augurio – tra di essi alcuni gesti simbolici, che sprigionino la loro forza antica, rivelando ciò a cui sono connessi: il rito fondante della unione tra uomo e donna, la radice agreste della nostra civiltà. “Sponz Fest” è il nome che Vinicio ha dato al festival da lui organizzato a Calitri, lo scorso agosto. Tre giorni di musica da sposalizio, e una mostra fotografica dedicata ai vecchi matrimoni di paese. Un festival per ballare, bere e sudare, “sponzare” le camicie. Ché proprio in questo sudore si trova la forza emulsionante di ogni comunità unita in un rito di passaggio.

Gli amici che sono stati allo Sponz fest, tra il 23 e il 25 agosto ne sono testimoni entusiasti. Un successo – reale – per pubblico, partecipazione, cibo, vini, balli.
Resta invece più discutibile la Banda della Posta su un palco e in una arena dove il pubblico non si conta più in decine ma in centinaia, in un rapporto non più corpo a corpo tra musici e partecipanti.
Non è che – a dispetto delle genuine intenzioni di Capossela – questo ballar cafone una volta estrapolato dal contesto di un paese diventi un “format” anch’esso? Il format, appunto, Banda-della-Posta-all-inclusive: salsiccia e friarielli, certa rubizza allegria, un certo spintonare, un po’ spontaneo, un po’ teleguidato da un comando invisibile: casino-genuino-e-un-po’-scomposto.

Il concerto continua. Tra un western mariachi, “Fuego”, e due o tre hit di Celentano cantate con adorazione mista a ironia, Vinicio non si risparmia nelle presentazioni enfatiche:
“Questo uomo, questo poeta, se ne è andato lasciandoci una delle canzoni più belle mai scritte: Manuela. Lui è il grande Rocco Granata!”.
Ma Vinicio ci fa o ci è? O tutt’e due?

Forse un pubblico meno sofisticato, o forse, al contrario molto sofisticato, gli avrebbe lanciato dei pomodori affettuosi.
E lui, Vinicio, credo, ne sarebbe stato contento. O comunque avrebbe saputo come prenderli.
Non a caso il progetto lo ha dedicato a tal Rocco Briuolo, mandolinista, che “ha fatto ogni cosa per bene non prendendola mai sul serio”.

Ai vecchi musicisti no, I pomodori no. Non se li meritano. E poi che c’entrano?

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