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Cimitero delle Fontanelle: una visita che lascia un segno

di Paola Mazzarelli

Maggio dei Monumenti. Chiostri. Cortili. Chiese.

E una meta al di fuori degli itinerari consueti? Il Cimitero delle Fontanelle.

Sito nel Quartiere Sanità, al fondo di una lunga serpentina costeggiata da salite che si inerpicano sulla collina di Capodimonte, il cimitero è ospitato da una cava di tufo alta almeno quanto una cattedrale gotica. E il cammino per arrivarci è di per sé un piccolo pellegrinaggio.

Al suo interno ci aspetta un set irreale: teschi, omeri, tibie, disposti con ordine garbato, alcuni conservati in teche di legno. Scheletri accumulati nei secoli. 40 mila?  80 mila? Almeno. Per non parlare dei milioni, sotto terra. Solo alcuni di essi hanno un nome. Più che la morte in sé è l’anonimato di questi resti a impressionare.

Ma, come spiegano le guide, vivaci e gentili, proprio in contrasto con l’anonimato di questi morti si muove il culto delle anime pezzentelle, povere anime dell’Aldilà che danno aiuto, attraverso gentile intercessione,  a povere anime dell’Aldiqua. In cambio di che? Di  “rifrisco”, sollievo dalle pene patite in purgatorio tramite preghiere e attenzione.

E qual è la procedura? Un teschio viene adottato da uno o più vivi, i quali lo chiamano con nomi affettuosi e lo curano, lo ritengono un membro famiglia, e pregano per lui. In cambio chiedono aiuto, miracoli, informazioni.

Certo, ci sono teschi che rispondono di più di altri alla “adozione”.  Come  il “Monacone”,  un teschio molto popolare. Attivissimo, miracoloso: intorno ad esso i devoti hanno costruito un  personaggio,  con tanto di camicia e pantaloni. O  il “Capitano”, con una cavità oculare rotta, avvolto in un alone maledetto. E ancora: “il teschio che piange”: gli umori che vi si condensano lo fanno  lacrimare. Segno, per i devoti, di espiazione. Ma anche di intensa attività a loro favore.

Il culto fu bandito nel 1969 per volontà delle autorità ecclesiastiche. Il cimitero rimase chiuso, salvo rare eccezioni,  fino al 2010, quando si riaprì al pubblico grazie all’interessamento di preti impegnati sul territorio e alcune associazioni.

Ma perché quella alle Fontanelle è una visita da non perdere – a parte l’ovvia curiosità per l’ossario?

Perché il culto delle anime pezzentelle, visto nel suo luogo di origine, ha una forza dirompente.  Ci parla, con la  poetica della fede popolare napoletana, del nostro bisogno di contatto, anche fisico e affettuoso, con i trapassati.

Se è vero che il nostro cervello emotivo risponde, voluttuoso, alle metafore, la storia dei teschi “adottati”, presi in carico, fa sì che l’anonimato della morte appaia, ai nostri occhi, meno minaccioso. Gli sguardi imperscrutabili delle migliaia di teschi celano, sì, drammi, sofferenze non placate,  ma suscitano anche battute conviviali e sfottò.

Così questo culto è una sorta di canto epico collettivo, in cui all’anonimato viene sostituita, con tenacia, l’attribuzione dei nomi, la conservazione dell’individualità. Ed è per questo, forse, che tocca tutti. Anche i più laici.

Finita la visita osserviamo,  sparsi su un gradone, dei bigliettini scritti a mano. Alcuni risalgono all’ultima guerra. In essi si colgono ansie per figli e mariti partiti, fame, disgrazie, richiesta accorata di aiuto. Accanto a questi, che fanno raggelare per quanto appaiano attuali, ci sono biglietti di metropolitana obliterati negli ultimi giorni. Testimonianze di visite fatte?  Il culto, a quanto pare, continua.

Domenica 26 maggio, ore 10.00 replica della visita guidata del giorno 11 maggio. Associazione Culturale Hermes. Info: 346-6702606

Per chi volesse ripetere l’esperienza, può rivolgersi anche all’Istituto Caracciolo S. Rosa, scuola della Sanità,  che sta effettuando visite guidate articolate all’interno di esso, con il patrocinio della Terza Municipalità del Comune di Napoli. 

Photo©Michela Iaccarino

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