È partita il 6 giugno, sabato scorso, la ricchissima mostra napoletana (qui alla sua quinta edizione), di respiro internazionale, dedicata ai mostri sacri della musica rock, e non solo, da Pino Daniele ai Pink Floyd. La rassegna, organizzata da Michelangelo Iossa e Carmine Aymone col patrocinio del Comune di Napoli, continuerà fino al prossimo 19 luglio tra incontri ed eventi di vario tipo, con ingresso gratuito. È stato proprio Pino Daniele, autorevole chitarrista global sound – sì, quello che suonava con i più grandi, da Alphonso Johnson a Steve Gadd, da Richie Evans a Wayne Shorter e Chick Corea – a suggerire, nel novembre del 2010, agli ideatori della mostra ROCK! il nome adatto al colorato e qualche volta malinconico sound di Napoli da raccontare, sostenendo che molti artisti della sua generazione, da Mario Musella a James Senese e Napoli Centrale, hanno nel tempo assorbito la cultura angloamericana fondendola alle proprie radici in un misto di melodia, rock e blues.
All’inaugurazione di sabato mattina, tutta dedicata al maestro Pino Daniele, hanno partecipato l’assessore alla cultura Nino Daniele, Jane Ritter (del British Council di Napoli, che ha commentato positivamente la creazione dell’ “anglonapoletano” del musicista partenopeo), Colombia Barosse e Phil Palmer (chitarrista di fama mondiale, collaboratore, fra gli altri, di Eric Clapton e Frank Zappa, oltre che amico di Pino) che, insieme alla moglie Numa (modella, produttrice e cantante) ha presentato un nuovo progetto musicale, “Promised Land”. Presenti anche il Consolato Generale degli Stati Uniti d’America per l’Italia Meridionale, l’Ambasciata Britannica, l’Università ‘Suor Orsola Benincasa e Radio RAI.
La mostra su Pino, suddivisa fra atrio, secondo piano e loft dello storico edificio di via dei Mille 60, è zeppa di foto storiche e inedite, di copertine, di premi, di gallery fotografiche, di libri, vinili, dvd, vhs e cd (alcuni rarissimi e ormai introvabili), di chitarre, e di chicche e rarità di vario tipo, e questa volta non è un luogo comune se vi diciamo che è davvero da non perdere. Un’emozionante sorta di filodiffusione riempie della voce calda e densa di blues di Pino gli oltre duemila metri quadrati delle sale dell’esposizione con le sue canzoni più belle. Grazie a collezioni personali (di Vincenzo Calenda, Francesco De Martino e Cristiano Betelli) è possibile ammirare anche alcune delle chitarre utilizzate da Pino Daniele nei suoi concerti come, per esempio, la Gibson Super 400 Ces, quella della copertina di Un uomo in blues e la chitarra acustica Eko, scelta proprio da Pino per la sessione fotografica di Che calore. L’artista Lello Esposito ha realizzato, inoltre, per l’occasione una scultura con le lettere Rock in cui la lettera “O” è rappresentata dalla maschera di Pulcinella, suo simbolo distintivo, mentre i maestri d’arte presepiale Ferrigno hanno offerto una pregevole scultura di Pino a grandezza naturale. E, ancora, nell’area loft sono state esposte, in anteprima europea, le “copertine animate” di Juan Betancourt, artista del lavoro in digitale fra i più importanti del mondo. Tante poi le foto, i ritratti e le locandine insieme all’amico di sempre Massimo Troisi. Lo stesso Troisi così descriveva il suo rapporto col compositore napoletano: “Lui scrive le canzoni, e io ci giro i film intorno”. Era il 1992 quando Gianni Minà intervistò Pino Daniele e Massimo Troisi, accomunati da profonda amicizia e collaborazione artistica, regalandoci un documento indimenticabile.
Una mostra, dunque, molto particolare e sentita, fra le più grandi mai realizzate per l’indimenticabile bluesman, una sorta di “memorabilia” monografica alla quale era presente anche Carmine Daniele (emozionante la somiglianza fisica e l’espressione dello sguardo tra i due, come anche con gli altri fratelli), fratello di Pino e storico “Giò” del pezzo I Got the Blues. Rimango soddisfatta perché la forza del Pino degli inizi è di muovo qui, ti entra sottopelle attraverso gli inediti Sud scavam a fossa e Abusivo. Il Pino dei contrasti, del disappunto, della lotta sociale e della rabbia, quello del racconto di un popolo e dell’arricchimento della propria terra, sembra adesso rivivere e fondersi con quello più morbido dei successivi pezzi in italiano e delle nuove sperimentazioni di genere. Cos’altro aggiungere? A sei mesi dalla scomparsa improvvisa (lo scorso 4 gennaio), Pino Daniele non c’è più, ma noi potremo per sempre contare sul tesoro inestimabile che questo Masaniello Lazzaro Felice ci ha lasciato e che ha concepito grazie all’amore profondo e tormentato che aveva per Napoli, e che continua a raccontarci molto da vicino la storia popolare e sociale della nostra città.