La camera incantata di Mimmo Jodice, edito da Contrasto nella collana “Lezioni di fotografia”, rientra indiscutibilmente nell’elenco dei volumi che chiunque ami l’arte in generale e non solo la fotografia, deve possedere.
Grande merito va dato, senza alcun dubbio, alla co-autrice Isabella Pedicini che con le sue scelte e con un linguaggio semplice ed intrigante, riesce a far accomodare il lettore nello studio in cui si svolge il dialogo.
Vi sembrerà surreale, eppure è così! Non appena ho iniziato a leggere La camera incantata, mi sono ritrovato comodamente seduto in una poltrona nello studio di Mimmo Jodice, spettatore invisibile nell’amabile e serena conversazione tra autrice e maestro.
Un’analisi ed una ricostruzione della produzione autoriale di Jodice, inusuali ma indiscutibilmente vicine al pensiero del maestro. Eliminare ogni riferimento temporale alla sua produzione, vederla e rileggerla tutta in funzione di nuovi punti di riferimento. Non più il tempo ed il periodo in cui Jodice ha realizzato le sue opere.
La Pedicini indaga e contemporaneamente tesse il filo di una nuova visione temporale delle opere, così il libro prende forma strutturando il nuovo viaggio su sei corpus:
1. Linguaggio
2. Persone
3. Silenzio
4. Enigma
5. Prospettive
6. Riverberi
Dai corpus così definiti, dialoghi e pensieri danno materia ad inchiostro e cellulosa. Prende forma e si struttura La camera incantata. Curioso, ma non molto per chi conosce Mimmo Jodice, l’origine del titolo del libro: “La camera incantata” (Carlo Carrà – 1917, foto: atlantedellarteitaliana.it) è paragonata alla “Camera oscura”, luogo indiscutibilmente essenziale per la produzione di Mimmo Jodice. Un luogo “magico” in cui sviluppo e postproduzione materializzano un grande sapere intellettuale ed artigianale. Omaggio, ma non solo ovviamente, ad un’altro autore del ‘900 italiano amatissimo da Jodice.
Indiscutibile l’influenza, nella sua formazione, di un periodo straordinariamente fertile nel mondo dell’arte a livello internazionale e la presenza di Napoli come punto attrattivo e polo di interscambio tra autori dello spessore di Andy Warhol, Giulio Paolini, Joseph Beuys e Jannis Kounellis.
Tutto si riversa nella produzione di Jodice, ma non per mera trasfigurazione di idee e strutture, ma come risultato di un’attenta e profonda analisi. Analisi che passa, non solo dalla rilettura e comprensione filosofica, ma anche e soprattutto attraverso una ricerca materica ed intimistica.
La semiontica di Jodice rimanda alla concezione dei filosofi medioevali “aliquid stat pro aliquo“. Una scatola magica avvolta dalle tenebre in cui mettendo alla prova la materia delle cose che genera un’immagine, l’autore estrae dalla materialità del supporto stesso quell’immagine ancestrale che ha composto nel suo vedere.
Mai agire poteva essere tanto sincrono del pensiero di Giorgio De Chirico (altro immenso autore del ‘900, a cui Jodice dimostra di essere profondamente legato). Nell’introvabile Il meccanismo del pensiero, Giorgio De Chirico, diceva: “Le nostre menti, sono abitate da visioni: quelle visioni sono inchiodate a basi eterne. Sulle piazze quadrate le ombre si allungano nel loro enigma matematico; dietro i muri le torri inanimate appaiono coperte di piccoli stendardi di mille colori, e dappertutto è l’infinito, dappertutto il mistero“.
Le visioni di Jodice, indagano lo spazio e tutto ciò che ne fa parte e lo significa e lo fa alla sua maniera. Privilegia ciò che per lui ha senso, analizzandolo attraverso la sua percezione del reale, non attraverso la cattura di un singolo istante decisivo, ma attraverso il tempo lungo della meditazione.
La camera incantata racconta questo aspetto profondo della poetica di Jodice, nel capitolo dal titolo “Silenzio”. La scelta di eliminare tutto ciò che è riconoscibile della realtà per sospendere le immagini in un non-tempo in cui tutto può già essere accaduto o deve ancora accadere, indaga i luoghi e gli oggetti oltre la materia e ciò che l’immediatezza del nostro pigro sguardo restituisce. Così le atmosfere divengono eteree e misteriose, ciò che era comunque ne perde la definizione, per sempre relegata ad un non-tempo.
Ancora tanto altro, racconta attentamente Isabella Pedicini, dialogando con Mimmo Jodice. Fa raccontare dell’amore per una città colma di contraddizioni e di spunti, dalla fotogenia forte ed immediata. Ed è lo stesso autore a dirlo: “Napoli è una città in cui la gioia si mescola al dolore, la bellezza al degrado, il chiasso al silenzio. Qui, dove sono nato e ho scelto di vivere, ho elaborato con rabbia e passione tutte le mie esperienze di uomo e fotografo.”
Rabbia e passione, che indiscutibilmente emergono in una produzione autoriale vastissima, profonda e personale, come quella di Mimmo Jodice. Non c’è un solo periodo di tale produzione in cui non sia netta e palpabile la presenza intima che l’autore esprime attraverso le sue immagini, mai semplici scatti, ma l’espressione di uno sguardo interiore che restituisce una visione tal volta surreale, metafisica del comune.
Attraverso la rilettura destrutturata e atemporale della sua produzione, mi sembra di guardare le immagini frutto della curiosità di un bambino. Un bambino che riproduce spazi irreali e visionari, per sentirsi a suo agio; agio che non è del viver nella realtà quotidiana.
Lo dimostra, ancora una volta, il suo fare in contrapposizione ad una cultura contemporanea votata alla fruizione vorace e frenetica. La calma del suo sguardo intenso coglie il volto profondo delle cose.
Anche nel capitolo “Riverberi” incontriamo una visione dell’archeologia emotiva immune da luoghi comuni. Nelle immagini che raccontano l’archeologia del Mediterraneo, non sono i primi soggetti che hanno impressionato la pellicola a raccontare, bensì i fantasmi, gli odori e le sensazioni che Jodice ha percepito in quei luoghi e che con sapiente sensibilità ha restituito sulla carta baritata nella sua “Camera incantata”.
È così che i volti virili, i corpi perfetti e le pietre raccontano il dolore, la gioia, la rabbia, la felicità, lo sconforto. Segni e tracce di sentimenti ed emozioni eterne che eterne resteranno imprigionate nella pietra dei custodi del tempo.
Come concludere queste righe se non con un invito a nutrirsi di questa “Camera incantata” e con una frase dello stesso Mimmo Jodice: “…bisogna muoversi guardandosi dentro e non fuori. Bisogna fare cose che coincidano con la propria immaginazione, i propri desideri, i propri sogni“.
LEZIONI DI FOTOGRAFIA
MIMMO JODICE con Isabella Pedicini
La camera incantata
Contrasto (2013, 192 pp., euro 19,90)