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Via Caldieri, 66: il “lento apprendistato” di Paolo Sorrentino

Stefano Loparco, Paolo Sorrentino: Via Caldieri, 66. Lavori giovanili e cortometraggi, Edizioni Il Foglio, 2024, 130 pp., € 16.

Mentre in sala infuria ancora il dibattito di critica e pubblico sul suo ultimo lungometraggio, Parthenope, secondo capitolo, dopo È stata la mano di Dio (2021), di una personale mitopoietica esistenziale e topografica, il giornalista e studioso Stefano Loparco approfondisce il discorso sui lavori giovanili e i cortometraggi di Paolo Sorrentino (discorso iniziato per l’editore Bietti qualche anno fa con il volumetto Dragoncelli di fuoco) con un più denso studio edito da Il Foglio: Paolo Sorrentino: Via Caldieri, 66.

L’emblematico titolo allude all’omonima via del quartiere Vomero a Napoli, sede nei primi anni ’90, di un Centro Culturale Giovanile presieduto dal regista e sceneggiatore Maurizio Fiume, il quale aggregò, intorno ad un suo corso di scrittura per il cinema, alcuni personaggi destinati a lasciare il segno nel cinema italiano ed internazionale degli anni successivi: in primis, il futuro premio Oscar™ Paolo Sorrentino («un missile puntato verso il successo»), ma anche altri futuri registi e sceneggiatori come Nina Di Majo, Ivan Cotroneo, Stefano Russo e Gianluca Jodice, uomini di spettacolo a vario titolo come Bruno Grillo (autore della prefazione), Claudio Gargano e il poeta-performer Silvestro Sentiero, mettendo su una vera e propria factory di cui la comunità cinefila e degli studiosi conosceva poco, coeva al fiorire del «nuovo cinema napoletano» dei Martone, Capuano (vero e proprio mentore, oltre a Fiume, di Sorrentino), Corsicato, De Lillo, Incerti, ecc. e che a quel cinema seppe dare idee, progetti, maestranze.

Grazie alle numerose testimonianze (anche iconografiche) dei protagonisti citati, accuratamente raccolte da Loparco, è possibile riscostruire gli albori del cinema sorrentiniano in fulminee schegge come – tra gli altri – Luoghi comuni (1990), primo lavoro in assoluto, Un paradiso (1994) e l’invisibile mediometraggio Dragoncelli di fuoco (1994), in cui Sorrentino (anche in veste di attore) fa le prova generali della sua cifra artistica con una grottesca parodia di una Chef Star, in anticipo di almeno 20 anni sulla deriva “gastronomica” della tv nazionale.

Loparco ricostruisce con dedizione e cura questa specie di controcanto cinematografico semi-amatoriale alle speranze e delusioni della Napoli del «Rinascimento bassoliniano», rendendo anche giustizia delle onnivore influenze cinematografiche e letterarie del Gruppo di Via Caldieri (si ricordi che erano gli anni di Pulp fiction e della Tarantino-mania) e senza tralasciare gli importanti lavori brevi di inizio carriera e della maturità di Sorrentino (L’amore non ha confini, La notte lunga, La partita lenta, Rio, eu te amo e Homemade).

Per studiosi e amanti del cinema del regista partenopeo (e del suo entourage giovanile), una chicca da non lasciarsi sfuggire.

Photo: Profilo Facebook Stefano Loparco.

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