Una quindicina d’anni orsono – anno più, anno meno – Silvestro Sentiero (Photo©Michela Iaccarino) veniva celebrato come un monumento vivente alla poesia in un evento patrocinato da Achille Bonito Oliva al Palazzo delle esposizioni di Roma, «esposto» in posa ieratica su un basamento di pietra lavica lavorato dallo scultore Matteo Fraterno: come in una performance di Gilbert&George, il nostro diveniva metonimia umana della Musa delle Muse. Era il tempo del suo primo lavoro, Nude Passeggiate, ricavato da migliaia di pagine di diario in versi; a quel primo libro, ne sono seguiti altri quattro: Semi di melone, La malinconia dei patafisici, Il mare nel lavandino e ora quest’ultimo Sulle orme del tonno (Marinai Perduti Editore, 2012, 80 pp., € 10).
Ma chi è Silvestro Sentiero, questo folletto schivo dalla chioma leonina, ritroso, silenzioso, bizzarro, lunare, surreale, che da anni va in giro per le strade d’Italia ad offrire versi estemporanei ai curiosi che si fermano davanti al suo leggio, alle sue pannocchie, al suo sorriso sornione? La lettura di Sulle orme del tonno può fornirci la risposta: ultimo dei surrealisti, erede mediterraneo sui generis del grande «patafisico» Alfred Jarry (non a caso omaggiato in una sua raccolta), Sentiero addensa sulla pagina parole che completano e approfondiscono la sua vocazione di poeta-performer di strada: come ci (gli) hanno insegnato Bréton, Éluard, Soupault e gli altri, l’invito al lettore è di porsi con animo assolutamente lieve davanti alla pagina, con fiducioso abbandono, pronto ad accogliere come verosimile ogni associazione mentale suggerita, per formidabile e assurda che sia («solo il farnetico è certezza» , recita il Montale citato in esergo): diviene allora plausibile (e possibile) mettersi «sulle orme del tonno» (ancora un richiamo alla cultura del mare di cui Sentiero è figlio, più precisamente al mare della costa vesuviana, da lui fissato – già nella prima raccolta – nella bellezza eterna del ricordo infantile ed in seguito continuamente riecheggiato come luogo dell’animo e simbolo immane della poesia stessa: «Non ci sono letti di fiume, il poeta è mare aperto»), appendersi al muro a mo’ di orologio a cucù (Auguri), infiammare il ghiaccio (Metamorfosi), e via inventando – come in precedenza era stato possibile galoppare un tacchino in perfetto delirio o rinchiudere il mare nel lavandino di casa. Sulle orme del tonno accentua la recente propensione dell’autore alla prosa poetica, al poemetto di una certa lunghezza (Lettera, Una macchia), cantando temi eterni riletti alla luce della «vita interiore bighellona» del poeta: lo splendore eterno della giovinezza, la tenerezza e la fragilità dei sentimenti, il potere «fantasticante» del sogno, la capacità magnifica della poesia di rifondare l’immaginario interiore di ogni lettore.
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