Questo anno 2014 da poco trascorso è stato fatto di grandi anniversari per la città di Napoli, dal trentennale della scomparsa di Eduardo De Filippo, vero monopolizzatore della cultura partenopea degli ultimi mesi con eventi, dibattiti, articoli e altro, agli ottanta di Salvatore Di Giacomo ai quaranta di Vittorio De Sica, con il suo L’oro di Napoli realizzato proprio 60 anni fa, nel 1954. In questo mare magnum di appuntamenti di nascite e morti, cui si possono aggiungere i vent’anni della scomparsa di Troisi, già giustamente celebrato nell’anniversario della sua nascita del 2013, un altro personaggio vale la pena di essere ricordato, apparentemente poco legato a Napoli: Ian Fleming.
Pochi in Italia, hanno celebrato il cinquantenario della scomparsa del padre di James Bond e tra i maggiori scrittori di spionaggio del XX secolo. Tra questi, il festival “Libri di mare. Libri di terra” di Pozzuoli ha ricordato a settembre la visita di Fleming ai Campi Flegrei. E in effetti, Fleming appare legato alla Campania, e in particolar modo a Napoli, da un rapporto contraddittorio, molto critico ad essere sinceri, snob e British come era il personaggio stesso di Fleming.
L’autore inglese, celebre, come detto, per aver inventato il personaggio di James Bond, inserisce Napoli all’interno delle thrilling cities mondiali, nella sua raccolta di articoli di viaggio firmati dal 1959 al 1960 per conto del «Sunday Times». Gli articoli confluirono quindi nel volume Thrilling Cities, per l’appunto, pubblicato dalla Jonathan Cape nel 1963 e ripresi, nell’edizione italiana, come Thrilling Cities – Le città dell’avventura dalla milanese Alacran nel 2006. La raccolta comprende tredici articoli scritti da Fleming, tra quelli che il «Sunday Times» commissionò all’autore, come un’indagine sulle principali “città dell’avventura o spionistiche del mondo”. Nel viaggio del 1959 descrive: Hong Kong, Macao, Tokyo, Honolulu, Los Angeles e Las Vegas (in un articolo unico), New York e Chicago. Nel successivo reportage del 1960 si sofferma su Amburgo, Berlino, Vienna, Ginevra, Napoli, Montecarlo.
Anche Napoli, quindi. Con il suo inconfondibile tono snob, Fleming ritrae Napoli non risparmiandosi in critiche aspre, non evitando citazioni dickensiane e ricreando un percorso del tutto simile a quello che i coniugi Joyce, ad esempio, realizzano nel film di Rossellini Viaggio in Italia: l’avvicinamento in automobile attraverso l’Appia verso Napoli; gli alberghi del lungomare; la gita a Capri; gli scavi di Pompei e il Vesuvio; l’antro della Sibilla.
Fleming parla espressamente di “Fagin” che popolano la città e l’inserimento di Napoli tra le “città dell’avventura” sembra essere dovuta, all’interno dell’articolo, per lo più all’incontro con il gangster americano Lucky Luciano che a Napoli trascorse gli ultimi anni di vita. L’incontro, avvenuto in un albergo del lungomare, è al centro del resoconto dell’autore inglese.
Ma non vi è solo questo incontro. Anzi. Fleming descrive e connota la città, senza comprenderla pienamente, ma guardandola come uomo venuto dall’esterno, insofferente, senza occhio antropologico, così come anche le zone limitrofe. Fleming scrive in particolare su Capri: «Capri: quest’isola di sogno, miti e vanità è ancora, ma forse non d’estate, un luogo incantevole ed eccentrico. Anche se fare il bagno nelle piccole spiagge ghiaiose con l’acqua maculata di petrolio è come sempre un’esperienza infernale, Capri è l’ideale per non fare assolutamente nulla» (Ian Fleming, Thrilling Cities, ed. italiana, p. 256). E ancora su Pompei: «Pompei, nonostante le orde di turisti, lenoni e ciceroni, rimane una grande meraviglia. Rischiammo la vita per aver rifiutato di assumere un accompagnatore o di comprare una guida turistica: ci eravamo scordati quanto è grande la città e quanto letali siano per i piedi i grandi lastroni di pietra consumati dalle ruote dei carri» (p. 258). Infine sull’Antro della Sibilla a Cuma: «L’antro, poco visitato dai turisti, è un’inquietante grotta scolpita di origine minoica. […] L’atmosfera di questo luogo oscuro e antico è potente, ma non ostile. Si ha la sensazione che qui siano accadute cose davvero misteriose, ma volte al bene piuttosto che al male» (p. 262).
Se il giudizio di Fleming è così negativo, perché ricordarlo allora nel cinquantenario della sua scomparsa? Bisogna guardare tra le righe, cogliere le critiche e notare come alcuni stereotipi sono presenti ancora oggi nell’immaginario collettivo internazionale che Napoli sta cercando, con ogni sforzo, di modificare, riuscendoci a volte egregiamente, altre no. L’inserimento stesso di Napoli tra le “città dell’avventura” da parte di Fleming, su commissione del giornale per cui scriveva, dà ad ogni modo l’idea del potenziale che la città ha e che potrebbe sfruttare.
Molte città non amate dagli autori che le hanno visitate o che vi hanno vissuto (si pensi a Jane Austen e Bath) hanno fatto di scrittori-icone punti di forza per creare percorsi turistici.
Eduardo De Filippo è sicuramente simbolo di Napoli e autore universale. Ma la sua è un’icona italiana, meno internazionale. Fleming è icona britannica e globale, poco legato a Napoli, critico e snob, ma comunque presente. Si potrebbe ricordarlo un po’ di più? Tutto sta in come lo si pone.
[Photocover: famousauthors.org]