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“La paura della lince” di Antonella Cilento: un’oleografia di Napoli in tinta noir

di Marina Bisogno*

Un’oleografia di Napoli in tinta noir. Forse ad Antonella Cilento, scrittrice e insegnante di scrittura creativa, una definizione del genere, oltre a risuonare pleonastica, starebbe pure un pochino stretta. Eppure il suo ultimo romanzo “La paura della lince” (Rogiosi editore, € 16) è soprattutto questo. Tra le pagine, infatti, corre un rocambolesco giallo, inscenato nel cuore della città partenopea. Da via Toledo al celeberrimo ristorante “Nennella” non c’è angolo della city che non offra uno spunto narrativo. La penna traccia scorci mozzafiato, tra le ombre e le luci della solita ville insonne e sfaccettata. Ma è al Castello di Baia che si addensa il mistero più fitto. Davanti agli occhi di Aida Festa (la protagonista), collaboratrice precaria del museo, un pomeriggio, all’approssimarsi dell’orario di chiusura, divampa un incendio. Una scena topica, tragica, destinata ad imprimersi da subito nella mente. Il vecchio custode rimane gravemente ustionato, e prima di morire le consegna un quadro. Chi ha appiccato l’incendio, e perché? Nel giro di qualche capitolo, la ragazza si ritrova coinvolta in un’indagine che non le compete, e la sua vita si complica: furti improvvisi, pedinamenti, coincidenze che, alla fine, non si rivelano tali. Aida diventa ben presto l’occhio e la testa del lettore, catapultato nella vicenda attraverso le sensazioni della giovane. I vicoli, i quartieri di Napoli fanno il resto, alimentando un gioco di incastri perfetti, apparentemente insensati, ma che, sul finale, conducono dritti dritti allo scioglimento dell’intreccio. Il fiato sospeso, però, lascia largamente spazio alla risata facile, e la goffaggine di Aida stempera i toni. Il suo, invero, è un personaggio buffo. Una specie di Bridget Jones nostrana mascherata da Julia Roberts per intenderci. Tra appuntamenti flop e le diuturne ansie paterne, Aida viene fuori simpatica. Suo padre prega ancora il Signore che questa figlia un po’ ribelle metta la testa a posto e si cerchi un posto statale, magari anche come sua sostituta al cimitero. Davanti a simili proposte, lei smadonna puntuale. “Lo vuoi capire che non fa per me?” sbuffa. Letterariamente parlando, poi, è indubbio che la ricetta vincente del romanzo stia nel tocco stilistico. La lingua è raffinata, mentre la narrazione si innesta essenziale, creando una rottura, probabilmente studiata, per niente fastidiosa. Al contrario, essa è la chicca letteraria del libro. Così, la lettura corre veloce verso il grande epilogo, per la gioia di lettori più o meno esigenti.

http://www.rogiosi.it/articoli/la_paura_della_lince_16329/

* Giornalista e scrittrice, ha pubblicato per Opposto.net la raccolta di poesie “Di Passaggio”.

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