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Cinema

Gianfranco Rosi presenta il suo “Sacro GRA”al Cinema Filangieri di Napoli

"Sacro GRA" al Filangieri di NapoliLa 70° edizione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia verrà ricordata per un atto di coraggio, quello di un presidente, Bernardo Bertolucci, e di una giuria nel destinare il premio principale – per la prima volta nella storia della manifestazione – ad un documentario, Sacro GRA di Gianfranco Rosi, un film sul Grande Raccordo Anulare di Roma. Nei grandi festival, era successo solo a Micheal Moore a Cannes nove anni prima per Fahrenheit 9/11. A sentire alcuni autorevoli addetti ai lavori, il film di Rosi non era il più meritevole in concorso, ma la scelta di premiarlo con il Leone d’oro non è stata vincente solo perché ha messo in luce le qualità di un’opera notevole ma anche per agitare l’auspicio che il documentario – forma pura del cinematografo (con buona pace della miopia di chi ha definito “anti-cinema” il film di Rosi…) – riacquisti la visibilità che merita nella fruizione collettiva della settima arte.

Gianfranco Rosi (Photo©Michela Iaccarino) è in giro per l’Italia ad accompagnare il suo film nelle sale. Nella tappa napoletana al Cinema Filangieri (dove è tuttora in programmazione), ha voluto solo salutare il pubblico prima della proiezione mentre il dibattito in sala che ne è seguito è stata l’occasione per mettere a fuoco alcune costanti del suo lavoro: il cosmopolita regista di Boatman, Below Sea Level, El sicario. Room 164, lavora “da solo”, senza troupe, curando personalmente regia, fotografia e suono dei suoi documentari, girando per i luoghi delle riprese con il suo van, vivendo in simbiosi con i mondi che racconta, con particolare propensione per il racconto della fatica quotidiana del vivere e per le esistenze ai margini; Sacro GRA, nato da un’idea dell’urbanista Nicola Bassetti e dedicato all’indimenticato Renato Nicolini, il creatore dell’Estate Romana, è un’altra conferma del metodo rosiano: le storie dal Grande Raccordo Anulare, che circonda la capitale “come un anello di Saturno”, sono tessere di un mosaico realista e al tempo stesso fantastico – frutto di un paziente lavoro di ricerca “sul campo” durato due anni – in cui il regista si introduce con discrezione e raccoglimento (che talvolta sfiorano il raggelamento), mimetico e invisibile come un Verga del documentario; ed ecco che allora si avvicendano sullo schermo – tutti rigorosamente nel ruolo di se stessi – vari esemplari di umanità che abita questi non-luoghi della post-modernità ai bordi della più grande autostrada urbana d’Italia: il “palmologo” che monitora la salute della palme (“perché la palma assomiglia alla forma dell’anima dell’uomo”) minacciata dal punteruolo rosso (che campeggia sulla locandina del film), il rustico “anguillaro” del Tevere, l’umanità bizzarra e tenera delle case popolari, il mondo dei paramedici che corre su è giù lungo il Raccordo per salvare vite umane, il dolente e ironico microcosmo delle prostitute di pasoliniana memoria, i funzionari del cimitero comunale di Prima Porta.

La forza del racconto di Rosi sta nella dimensione etica del suo sguardo, propria di chi medita l’inquadratura prima di realizzarla, in una prassi documentaria che regala momenti di alta estetica cinematografica (la nevicata restituita attraverso inquadrature quasi astratte, dal montaggio ipnotico; la sequenza della funzione religiosa immersa in una sovraesposizione a metà strada tra l’estasi e l’allucinazione; l’epifania quasi bunueliana del gregge di pecore in una luce livida), nella tenacia creativa di un autore che “riesce a filmare solo ciò che ama”.

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