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Cinema

Festival di Roma verso la conclusione: concorso in caduta libera e “lampi” dalle altre sezioni

Dall’inviata

Concorso “in caduta libera”

La domanda che ci si dovrebbe porre rispetto alla settima edizione del Festival del Film di Roma è: quanto devono essere brutti e improbabili i film per entrare nella categoria C, ovvero in Concorso? Ixjana (sopra, una scena) rientra proprio nella categoria degli “improbabili” al Festival, candidandosi come il film peggiore proposto in gara. Diretto dai fratelli Skolimowskij, il film racconta delle indagini di Marek, un giovane scrittore, che cerca di far luce sulla morte del migliore amico. Il film inizia con il protagonista che si sveglia l’indomani di una sbornia cercando di ricostruire gli eventi della sera precedente. Da questo momento in poi una serie di episodi sconnessi si susseguono a raffica con salti temporali eccessivi tra passato e presente che semplicemente sembrano disposti a caso per camuffare una sceneggiatura scritta male nella quale intere scene inutili fanno da tappabuchi. Per non parlare poi della trovata del festino in maschera che dovrebbe scimmiottare Eyes Wide Shut. Questo elemento orgiastico presente ultimamente in molti film ha veramente stancato, soprattutto perché si imita troppo palesemente, vuoi per omaggio, vuoi per puro spirito di emulazione, l’artista Kubrick. Il film fa anche dei salti di genere notevoli, passando dal fantasy all’horror allo splatter, che alla fine dimostrano come in realtà non vi sia una struttura solida della scrittura cinematografica né un’identità precisa del prodotto finale. Questo risulta infatti poco connesso e confusionario.

Tar. Ovvero: imitando Malick

Probabilmente la moda Malick si è diffusa copiosamente in un certo cinema d’autore, poiché da Tree of life a To The wonder (presentato alla scorsa edizione della Mostra di Venezia), diversi registi hanno adottato la stessa tecnica registica e in alcuni casi anche gli stessi attori. In questo caso si parla di Tar, film della sezione CinemaMaxi, diretto da ben dodici registi, tra i cui produttori figura lo stesso protagonista James Franco. Quest’ultimo, che ha spopolato a Venezia con l’eccellente Spring Breakers di Harmony Korine, si è dato questa volta ad una storia più impegnativa, che ripercorre la vita del poeta C.K. Williams attraverso le sue poesie. Questi brani si susseguono con salti temporali notevoli che attraversano vari momenti della vita dello scrittore. La riflessione è sulla vita, sulla morte, sui rapporti familiari e le dinamiche amorose. Così assistiamo a quelle che sono le esperienze più significative della vita di Williams, il quale soffre di un male di vivere che gli impedisce di dedicarsi con la giusta attenzione alla moglie e vivere serenamente il presente. Il richiamo a Malick è evidente nelle inquadrature che riprendono queste lunghe e inutili passeggiate nei prati dei protagonisti, i quali non vengono quasi mai inquadrati con primi piani che permettano di vederne bene il volto e le espressioni. Per non parlare di tutto questo filosofeggiare sul senso della vita. Lo scopo era quello di mettere in sequenza una serie di poesie dell’autore, ma di fatto nel corso della storia non accade nulla. Dev’essere lo spettatore a ricostruire gli eventi e razionalizzare quello che succede. Nulla di male se la linea temporale di una storia viene modificata spostandone i pezzi secondo un “ordine” diverso, ma alla fine tutto deve tornare al suo posto e si deve ristabilire l’ordine. Quest’ultimo passaggio non c’è stato e quindi l’impressione è quella di un disordine generale che non lascia nulla.

La bande des jotas. Tante risate per una sceneggiatura debole

Marjane Satrapi presenta per la sezione Fuori Concorso del Festival, un film dai toni leggeri, autoironici e frizzanti, che conferisce a questa settima edizione un po’ di leggerezza. La nota surreale è quella che caratterizza La bande des jotas, poiché si tratta di una variazione sul tema del viaggio e dello scambio di valigie che vede protagonista un improbabile trio composto da due uomini, Nils e Didier, due sportivi giunti nella Spagna del Sud per un torneo e una donna misteriosa e manipolatrice che li coinvolge in un progetto di vendetta contro la mafia spagnola. In realtà il film è talmente leggero e buffo che si potrebbe quasi paragonare ad un cartone animato, non c’è un percorso di formazione, non c’è una morale, non si arriva ad una vera e propria conclusione. Sembra quasi che la regista abbia voluto realizzare un film per il semplice gusto di farlo e che lo scopo sia solo il puro divertimento. Le risate sono assicurate e la storia è nel complesso godibile. Vi sono tuttavia dei punti deboli nella sceneggiatura, alcune cose non vengono sviluppate bene e vi sono diversi punti in sospeso. Lo stesso finale lascia un po’ a desiderare.

Foto: Ufficio Stampa Festival Internazionale del Film di Roma

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