Dall’inviata
La scelta dei film in concorso per il Festival Internazionale del Film di Roma è piuttosto sconcertante dal momento che nessuno di questi colpisce veramente per qualche ragione. La domanda che spesso si pone in questi casi è: perché mai solo per il fatto che siamo ad un festival internazionale, i film proposti devono spesso essere concettuali ed ermetici al punto da risultare autoreferenziali e fini a se stessi, per quanto le tematiche possano essere nobili e interessanti? Forse il problema restano sempre i modi in cui questi film sono messi in scena, costruiti e scritti.
Per esempio, Mai Morire (sopra, una scena), film in concorso di Enrique Rivero parla del problema della perdita di una persona cara, in questo caso la morte di una madre. Questa donna, Chayo (Margarita Saldana) ritorna nel suo paese natale, in Messico, per prendersi cura della madre in fin di vita. Anche in questo film, come in altri, la fotografia è pessima, tutta sfocata, un disturbo per gli occhi. Per quanto molte inquadrature del film siano una successione di “quadri” grazie al paesaggio suggestivo del luogo. Purtroppo però si potrebbe parlare al massimo di quadri impressionisti. La recitazione è assolutamente passiva, senza pathos, senza brividi, tutto uguale. Forse il problema sta anche nel fatto che molti attori sono stati presi sul luogo e quindi non esercitano la professione. Un film in sostanza poco significativo, che forse non ha raggiunto fino in fondo lo scopo di far riflettere lo spettatore e indagare fino in fondo il bagaglio di emozioni della protagonista.
I film veramente interessanti e fatti bene, tra quelli in concorso e non al Festival di Roma sono stati, per questa settima edizione, quelli francesi. Uno di questi, presentato nella sezione CinemaMaxxi, è stato Photo (nella foto, il cast) del portoghese Carlos Saboga. La vicenda è scandita da una serie di episodi, ognuno intitolato con il nome dei protagonisti. Una giovane donna Elisa (Anna Mouglalis) scopre dopo la morte della madre, di non essere la figlia naturale di quello che lei credeva essere suo padre. Erano gli anni settanta e la madre ebbe relazioni con diversi uomini, faceva la fotografa e le foto di quegli anni sono gli indizi da cui partire che aiuteranno Elisa a scoprire la verità, in un viaggio che si rivelerà per lei di formazione. La trama è molto semplice ma la sceneggiatura è scritta benissimo, d’altronde si tratta di uno sceneggiatore e questa è la sua opera prima da regista. Gli interpreti funzionano benissimo e la storia non cede in alcun punto, portando avanti fino alla fine la vicenda e lasciando, come in pochi casi accade in un film, quel senso di chiusura perfetto che deve avere una storia completa e dotata di un inizio, un mezzo e una fine. Nessuna domanda deve restare aperta, il nodo deve alla fine sciogliersi risolvendo tutti i conflitti. Non si tratta certamente di una regola fissa, ma nella maggior parte dei casi i film che più danno soddisfazione allo spettatore sono proprio questi.
Foto: Ufficio Stampa Festival Internazionale del Film di Roma