dall’inviata
Due film, uno francese e l’altro italiano affini per le tematiche sentimentali che guardano al senso della vita. In più un film che con toni fantastici e nostalgici accenna a raccontare una delle pagine più nere della storia italiana attraverso la vicenda di un solo uomo.
Film in concorso alla settima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, Main dans la main (qui accanto il cast), diretto da Valérie Donzelli è stato presentato questa sera in prima mondiale, con il cast presente in sala. È la storia di Hélène e Joachim, i classici due opposti, legati da un’attrazione che più che fatale si può definire magnetica. I due infatti non appena si incontrano non riescono più a staccarsi l’uno dall’altro. Sono letteralmente legati da una passione che loro stessi non possono controllare. Questo strano incantesimo che gli impedisce di separarsi l’uno dall’altra li porterà a condividere parecchie cose.
Il film è soprattutto una riflessione sulla vita di coppia, sul rapporto a due e in alcuni casi anche su quello a tre (la protagonista avrebbe già, infatti, una relazione con un’altra persona). Un incantesimo che dal punto di vista registico trova soluzione con l’innesto di un girato dal taglio documentaristico e un po’ vintage. Alcune scene d’ambiente e d’insieme, infatti, sono realizzate con una qualità differente. Gli interpreti sono bravi soprattutto nell’accordare la recitazione in un concertato perfetto che rendeva tutto comico. Per rappresentare la simbiosi improvvisa, che nasce tra i due, hanno dimostrato un certo esercizio fisico. È anche un film sul concetto ormai sparito di amore vero, l’amore senza il quale è difficile vivere. Geniale rispetto agli standard la scelta di descrivere a parole, con voce fuori campo, le scene d’amore tra i due protagonisti. Lo spettatore non vede nulla, sente solo la descrizione dell’incontro e può immaginare. Il film è sicuramente godibile, ma non ha il quid necessario per vincere il concorso.
Tra le offerte della sezione Prospettive Italia (concorso) del Festival, fa capolino il film di Susanna Nicchiarelli, con Margherita Buy, Sergio Rubini e la stessa Nicchiarelli, La scoperta dell’alba (nella foto in alto, il cast).
La storia racconta di una figlia che cerca di far luce sulla scomparsa del padre, avvenuta nel 1981, quando l’Italia doveva ancora uscire del tutto dagli anni di piombo. Anche questo film ha un tono fiabesco e fantastico, poiché la protagonista, Caterina, interpretata dalla Buy, ritorna nella sua vecchia casa al mare e lì scopre un vecchio telefono ancora funzionante. Questo telefono può chiamare nella sua vecchia casa d’Infanzia a Roma. A rispondere dall’altra parte dell’apparecchio c’è la stessa Caterina, allora ancora una bambina che risponde alla se stessa del futuro. Le due cercheranno di far luce sul mistero della scomparsa paterna. Sergio Rubini nel film ha una parte troppo marginale e si nota poco. La Buy non presenta novità nel suo stile e anzi risulta un po’ insipida nell’interpretazione. Il film trasmette un senso di nostalgia puro, ma anche di paura verso un periodo buio della storia italiana.
Quanto al contenuto, in realtà questo è meno consistente del messaggio che invece è stato efficacemente trasmesso dal cortometraggio di apertura: Il turno di notte lo fanno le stelle di Edoardo Ponti su soggetto di Erri De Luca. La storia in pochi minuti è molto più avvincente di un lungometraggio ed è un inno alla vita e alla voglia di vivere. La tematica scelta è molto delicata e riguarda due persone che si scoprono affini per aver subito entrambi un trapianto di cuore. Usciti vincenti dalla battaglia, decidono di continuare a vivere secondo le loro pregresse abitudini. L’interpretazione di Enrico Lo Verso è magistrale.
Foto: Ufficio Stampa Festival Internazionale del Film di Roma