Si ride e si piange con la semplicità di una storia che ci ricorda la grandezza della vita.
Lo scopo del teatro in Grecia era quello di educare lo spettatore e compiere una catarsi. La catarsi era un processo di “purificazione” durante il quale, attraverso le emozioni suscitate dalla vicenda che si andava a guardare, ci si liberava delle brutture del mondo e si imparava qualcosa sulle dinamiche più importanti della vita.
Oggi, talvolta, può capitare che un film riesca ad operare sullo spettatore esattamente questo stesso processo catartico; suscitando emozioni talmente forti da restare nella memoria di quest’ultimo anche dopo che le luci si sono accese ed egli è uscito dalla sala.
Se un regista è capace di farsi ricordare anche qualche giorno dopo la visione in sala, allora l’obiettivo è raggiunto.
Il regista in questione è Ferzan Ozpetek e il film di cui si parla è Allacciate le cinture, un film che dal trailer non dava “grandi speranze”, per citare un famoso titolo di Dickens. Certamente il nome di Ozpetek in molti casi è una garanzia, ma quello che inizialmente lasciava perplessi era la presenza di un nuovo attore nella rosa dei feticci che spesso popolano le storie di Ozpetek. Si tratta di Francesco Arca, bel givane senza dubbio, ma il cui talento, se c’è, è ancora molto inferiore a quello cui siamo abituati a vedere nei film del regista turco.
Eppure la presenza di questo attore che, a primo acchito, avrebbe rovinato il film, ben si concertava con tutti gli altri personaggi, ma soprattutto con la situazione.
La storia è quella di Elena (Kasia Smutniak), una ragazza di buona famiglia che lavora come cameriera in un bar a Lecce e sogna, un giorno, di aprirne uno con il suo migliore amico Fabio (Filippo Scicchitano), gay e molto apprensivo nei suoi confronti, quasi come un fratello. Un giorno Elena incontra casualmente Antonio (Francesco Arca) un meccanico, di origini ben più modeste delle sue, rozzo e ignorante dal quale però sarà ben presto affascinata. La ragazza scoprirà che il giovane sarebbe il fidanzato di una sua cara amica, Silvia (Carolina Crescentini). Dal canto suo anche lei è fidanzata, con uno dei ragazzi più ricchi e di buona famiglia di Lecce, Giorgio (Francesco Scianna).
Come spesso si dice “al cuore non si comanda”: nonostante Elena e Antonio siano opposti da tutti i punti di vista, la loro attrazione è molto forte e i due non riescono a separarsi.
Quando il film inizia – la vicenda è ambientata all’alba degli anni Duemila – i protagonisti sono giovani e il loro futuro è ancora tutto da scrivere. La loro storia si interrompe a un certo punto quando ancora non sappiamo quale sarà il destino di Elena e Antonio. Con un abile salto temporale dato anche dal montaggio in asincrono rispetto alla successione degli eventi, scopriremo il destino dei due giovani. Elena e Antonio si sono sposati e hanno due figli, ma lui sostanzialmente è rimasto il “maschio beta” che era e lei è rimasta superiore a lui per diverse cose . Litigano, si odiano, lui la tradisce, insomma sembra una storia qualunque e forse nemmeno il grande amore che si credeva.
“È la vita”, verrebbe da dire, e infatti, questa ti emoziona e ti colpisce quando meno te lo aspetti e le tinte rosa e rosse della storia, diventano nere. Elena si ammala e noi spettatori viviamo insieme a lei e Antonio l’angoscia del momento. Comprendiamo insieme a loro quanto sia grande l’amore che li unisce, versiamo le stesse lacrime per la compassione e l’empatia di ciò che ci viene raccontanto e finiamo preda, è il caso di dire, di un turbine di emozioni talmente forti, capaci di accompagnarci anche quando siamo fuori dalla sala cinematografica e siamo rientrati ciascuno nelle proprie vite.
A quel punto comprendiamo il senso del titolo, la vita emoziona talmente tanto che non resta che prepararsi e allacciare le cinture perchè ne vedremo delle belle e, a volte, sara difficile sopportare tutto. Ma quello che conta è l’amore, quello con la A maiuscola, capace di superare la fisicità, di andare oltre la vita stessa.
La grandezza di Ozpetek sta nella capacità di emozionare e creare tensione al momento giusto, ma soprattutto a stemperare quella stessa tensione con una battuta capace di farci ridere, quando un attimo prima stavamo piangendo.
Infatti la storia ritorna al punto di partenza, chiudendo una sorta di viaggio temporale e circolare, ponendo la parola “fine” sulle risate gioiose e innamorate dei protagonisti e non sul senso di morte e angoscia che si respirano alla fine. È un regalo che ci ha voluto fare, forse, Ozpetek, aiutandoci a capire che la vita è esattamente questo: un insieme di emozioni contrastanti fra loro e che possono colpirti in qualsiasi momento, anche tutte insieme.
Come tutti i film di Ozpetek, il cast funziona talmente bene che non si riesce a trovare qualcosa che non vada, neppure nella presenza di un attore inesperto come Arca, che qui però interpreta bene il ruolo per il quale è stato scelto, la bellezza sensuale e fisica di un corpo che diventa catalizzatore di forti emozioni. È tutto qui, niente filosofia, grandi ragionamenti o chissà quale cultura, ma qualcosa di molto semplice, essenziale e soprattutto primordiale.
Allacciate le cinture (Italia 2013, 110′)
di Ferzan Ozpetek
A Napoli nelle sale:
– Ambasciatori
– America Hall
– Filangieri
– Modernissimo
– The Space Cinema