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Spoleto Arte incontra Napoli: il PAN come un bazar

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Il PAN dovrebbe essere il Palazzo delle Arti Napoli. E a volte riesce ad esserlo, seppur difficilmente si sono sfruttate le sue potenzialità come luogo di cultura e contenitore  di  mostre, che potrebbero essere di ampio respiro (si pensi a Wharol, a Obey, a Kubrick, ora Cartier-Bresson, tutti grandi nomi). Ma  ci sono cose nella location che devono essere riviste, perché le mostre che vi possono essere organizzate assumano tratti meno “precari” e più professionali. Io ad esempio trovo molte volte triste il posizionamento delle opere con poche didascalie, alcune volte con grandi spazi lasciati vuoti tra le suddette opere sulle pareti  bianche e un senso di vuoto, di pauperismo generale.

Ma il PAN potrebbe davvero essere, se ci si impegna costantemente, il Palazzo delle Arti Napoli. Vi sono, tuttavia, situazioni estreme, a mio avviso opposte all’arte, come nel caso di “Spoleto Arte incontra Napoli”. Non tanto nelle singole opere (vi sono anche  quadri di Amanda Lear, annunciati in pompa magna sulle locandine con il volto della musa di Salvador Dalì in bella mostra, insieme a quella di Vittorio Sgarbi), ma nell’allestimento.

Il Palazzo delle Arti diventa un bazar, una galleria di un qualsiasi livello, con quadri e fotografie di autori contemporanei che  si ammonticchiano e accavallano sulle pareti. Un grande negozio che fa pensare di essere entrati in una qualche televendita di tv privata degli anni ’90. E il PAN non deve essere assolutamente un bazar.

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