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Considerazioni post Napoli Teatro Festival Italia 2016

Napoli-Teatro-Festival-Italia-2016Parlare di flop per l’edizione 2016 del Napoli Teatro Festival Italia, come pure hanno fatto alcuni critici e giornali (come ad esempio Il Mattino), è un’affermazione se non sbagliata, perché i numeri degli spettatori parlano chiaro, quantomeno riduttiva.

Se da un lato le problematiche di pubblico, pubblico pagante e omaggi sono vere, bisogna considerare  anche altri aspetti per poter  dare un giudizi finale dopo la kermesse. Si consideri, in  primo luogo, che questa edizione è la prima targata Franco Dragone come buona direzione artistica e tutto sommato essa va vista come un’annata di transizione. Bisognava vedere i cambiamenti rispetto al passato e questi cambiamenti riguardavano innanzitutto la programmazione che, con Dragone, ha riacquistato un respiro senz’altro internazionale.

Al di là delle questioni di pubblico e logistiche, molti sono stati gli spettacoli memorabili, alcuni dei quali capolavori o vicini ad esserlo: Kiss&Cry di Jaco Van Dormael, ST/LL di Shiro Takatani, Les aiguilles et l’opium di Robert Lepage, il Macbeth di Brett Bailey, l’Ubu di William Kentridge. Non sono mancate, come normale che sia in un festival, le grandi delusioni, come il Pinocchio di Pommerat o Le troiane di Valery Fokin. In linee generali, tuttavia, la programmazione è stata di spessore e di grande respiro.

Stabiliti i paletti qualitativi quest’anno è necessario ora pensare all’organizzazione e al pubblico, ma sicuramente bisogna lasciare lavorare Dragone senza prematuri “tribunali inquisitori” sin dal  primo anno. È vero che permangono alcuni punti che non hanno mai trovato soluzione sin dalla fondazione del festival: la pubblicazione del programma, che, per quanto valido, avviene sempre tardivamente e rende quindi difficile vendere il pacchetto “Napoli  Festival” da parte degli operatori turistici (rispetto a quanto avviene, ad esempio, con Edimburgo o Avignone); la sovrapposizione con altre kermesse, come successo quest’anno con Spoleto; la scelta delle location. Questo ultimo punto, molte volte sottovalutato, dovrebbe stare molto a cuore, perché, al di là degli spettacoli, un festival è, o sembra, un festival anche per le location utilizzate. Avignone vive  il festival nel centro storico, Edimburgo sia Fringe che istituzionale tra il Royal Mile e i teatri limitrofi. Ma Napoli?

Ciò che manca a Napoli è  un “perimetro del festival”. Nell’articolo a conclusione dell’edizione 2015: “È uno sbaglio non tanto artistico, quanto logistico. A Napoli non si respira per nulla l’aria di festival, ma sembra un circuito, un proseguimento della programmazione di alcuni teatri sino a fine giugno”. E questo a dispetto di una bella programmazione. È questo il punto su cui deve lavorare Dragone, come sulla presentazione di una parallela kermesse non istituzionale, aperta, di strada e alternativa, che si chiami Off (alla Avignone) o Fringe (alla Edimburgo). Napoli deve riempirsi di teatro per funzionare.

Le polemiche sui  soldi pubblici spesi e sui biglietti devono, infine, essere prese con le dovute pinze (ma pur sempre in maniera critica). Difficile pretendere a tutti i costi un festival teatrale in attivo o in pareggio. Vi è molta letteratura scientifico-economica a riguardo, che purtroppo non è stata citata nei vari articoli di questi giorni. Anche se applicato prevalentemente al mondo operistico, il morbo di Baumol (che implica la necessita dell’intervento pubblico) colpisce anche il teatro e le arti performative dal vivo in genere. E il morbo di Baumol, come si direbbe a Napoli, “è na brutta malatia”.

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