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Cinema

“Il segreto”: scugnizzi e fuochi sacri

Nel documentario “Il Segreto”, cyop&kaf raccontano a distanza zero le scorribande dei ragazzini dei Quartieri Spagnoli in vista del falò rituale di Sant’Antonio Abate. Il risultato è inatteso. C’è un ordine sotto lo schiamazzo?

IL SEGRETOCome “I ragazzi della via Pal”, i giovani protagonisti del documentario “Il segreto”, hanno il privilegio di avere una base: un fazzoletto di terreno incolto, ben imbottito di rifiuti, in mezzo alle case. E di imbastire guerriglie, reali o immaginate, con altre bande cittadine. Tuttavia non si chiamano Boka e Gereb, ma Francesco, Luigi, Gennaro, Ciro. E sono in carne ed ossa. La città dai selciati scuri e dalle strade strette nella quale corrono o si arrampicano è Napoli. La loro ricerca di legna ha un fine preciso: accendere, com’è usanza, un falò la sera di Sant’Antonio Abate, il 17 gennaio.

“Il segreto” è firmato da cyop&kaf, writer le cui figure svirgolate, metamorfiche, febbrilmente vitali, brulicano sui muri di Napoli e soprattutto dei Quartieri Spagnoli, dove gli artisti lavorano con continuità da tre anni. Il film sta girando per i festival, facendo man bassa di premi prestigiosi, tra cui, il Primo Premio al Festival Terra del Cinema, Tremblay in France, e, ultimo Joris Ivens, Miglior Opera Prima Cinema du réel 2014.

Tutto si svolge in strada. La telecamera insegue i ragazzini nelle loro corse in motorino, nel loro trascinare in paranza grossi ceppi da un quartiere all’altro, animati da un tenace spirito di squadra. Li riprende mentre contrattano coi portieri dei quartieri ricchi per aggiudicarsi i grossi abeti rimasti spogli negli androni dei palazzi dopo le feste di Natale. E non li molla mai, neanche quando, rientrati alla base – “il segreto”, appunto – accatastano i ceppi, li riordinano, danno loro un assetto, in vista dell’evento finale. Cinto da un muro facilmente scavalcabile, e da un cancello aperto, il “segreto” è il vuoto lasciato dall’abbattimento di un palazzo pericolante. Nonostante le erbacce e i rifiuti, una risorsa per la banda.

Niente commenti fuori campo. L’audio, grezzo, contiene le voci dei ragazzi nello slang stretto dei Quartieri, e un mix di frastuono urbano. Telecamera ad altezza uomo – anzi sottouomo. La storia si segue, per così dire, live. E niente musica, se non nel momento finale. Quando il fuoco viene appiccato, e svetta alto, lambendo i palazzi. E diffondendo una gioia che contagia anche lo spettatore.

Quello dell’accensione rituale del fuoco è un gesto umano ancestrale. I cerimoniali che vi si connettono appartengono ad una scansione temporale ciclica, legata alle stagioni, ai raccolti. E’ incredibile la sua persistenza in un ambiente saturo di edifici e di date. In cui la relazione con la terra è solo simbolica. Il 17 gennaio, in pieno inverno, è connesso all’inizio della rinascita della terra che prelude al Carnevale.

Sembrerebbe che siano proprio questi ragazzini gli officianti del rito, che si tramanda di generazione in generazione. Tutta la città, in questo documentario, appare come un terreno di gioco. Il puro divertimento, legato anche allo spirito di scoperta, si arricchisce di gesti acrobatici, prove di abilità. Quale ragazzino o ragazzina non amerebbe questa avventura? A patto di condividere anche lo stretto codice di lingua e comportamento dei protagonisti, tutti “scugnizzi” e tutti (ahimè?) rigorosamente maschi. Qui visti sotto un aspetto nuovo. Finalmente non estetizzato. Al di là del loro muoversi rapido e schiamazzante, il loro agire appare congruente. Addirittura disciplinato. Scugnizzi intenti a edificare il fuoco sacro, non a smantellare – metti – altalene.

Due i piani, perfettamente giustapposti, che si colgono in questo lavoro: quello documentaristico e quello mitico. Gli stessi ragazzini sembrano il punto di connessione tra le due città: quella contemporanea, frenetica, tutto sommato produttiva. Quella arcaica, adagiata in un tempo ciclico. Che, probabilmente, nel suo aspetto grezzo, scomposto, nasconde la salda tenuta di un cosmo. E alimenta l’altra città, donandole un sound.

Scarno e intenso, “Il Segreto” lascia un imprinting incisivo, in un panorama saturo di racconti di Napoli. Belle le note finali di Enzo Avitabile. Suonate, non a caso, insieme a un ragazzino, detto “Filosc”.

“Il Segreto”. Regia: cyop&kaf; soggetto: Luca Rossomando; fotografia: Ciro Malatesta; Montaggio del suono e mix, Massimo Mariani; Musiche Originali: Enzo Avitabile; Produzione: Quore Spinato, Parallelo 41; Napoli Monitor; Antonella Di Nocera, Daria D’antonio.

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