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Cinema, Cultura, Teatro

Addio ad Arnoldo Foà, superba voce del Novecento, annunciò da Napoli lo sbarco degli Alleati

                                                                         Arnoldo Foà

Si è spento ieri a Roma Arnoldo Foà; il burbero genio dello spettacolo e della cultura italiani avrebbe compiuto 98 anni il prossimo 24 gennaio. Attore, prima di tutto per il teatro, poi cinema e TV, di quelli della generazione della voce, intercettata ed allevata dallo radio, quella monumentale di Gassman, quella straniante e melanconica di Mastroianni, voce e faccia come una cosa sola, un’arma affilatissima, la maschera dell’attore e la sua fonè.

E ancora regista, naturalmente doppiatore, autore , soprattutto di poesia e, nell’ ultima stagione della sua vita, di autobiografie (l’ultima, del 2009, è Autobiografia di un artista burbero, per i tipi di Sellerio) che sono pezzi ora mordaci, ora severi, sempre più che irrequieti, di storia del teatro italiano. E una grande passione per le arti figurative, pittura e scultura soprattutto, che conosceva, raccoglieva, praticava. Ferrarese, classe 1916, è di famiglia ebraica ma si dice sempre ateo, per sardonica lucidità più che per ideologia. A 17 anni scopre il teatro, a venti fugge a Roma, gli studi di Economia e Commercio sono già un ricordo; qui intuisce subito il nuovo e si iscrive a Centro Sperimentale di Cinematografia, i cui corsi di recitazione però Foà è presto costretto a lasciare (siamo nel 1938) per via delle leggi razziali promulgate dal fascismo. Gli viene impedito persino di lavorare, lo fa ancora, e con le compagnie più prestigiose dell’epoca (con gente, tra gli altri, come Gino Cervi, Andreina Pagnani, l’amata Rina Morelli e il grandissimo Paolo Stoppa), nascondendosi dietro nomi fittizzi (celebre è lo pseudonimo di Puccio Gamma, celato dietro il quale Foà incassa i complimenti di Paolo Grassi, che subito dopo la guerra gli racconterà poi di avere visto, durante gli anni del conflitto, due o tre bravissimi attori, alcuni giovani, altri vecchi: erano tutti quanti ancora il Nostro in incognito).

Tuttavia la situazione si fa presto insostenibile e, nel ’43, in fuga da Roma, trova finalmente la sua Napoli, dentro “giornate tragiche e vitali”, come ebbe modo di raccontare in una bella intervista del 2006 a La Repubblica. È ospite in casa di amici di famiglia sulla collina di Posillipo, continuamente bombardata dai tedeschi con la costa, per impedire lo sbarco degli Alleati. Intuisce le Quattro Giornate dalla fuga scomposta dei tedeschi; racconta (magistralmente) di una città devastata ed epica insieme, un trionfo di contraddizioni dove si resiste ma pure si scrive sui muri “si stava meglio prima”. Già attore di struttura ed in cerca di un lavoro per sostenersi nella Napoli post-bellica, si presenta presso il canale radio del Psychological Warfare Branch, istituito dagli Alleati per fornire sostegno psicologico per le popolazioni in guerra. Lo assumono, la voce è quello che è; ed arriva subito l’incarico di annunciare al Paese, proprio dai microfoni di PWB, proprio da Napoli, l’armistizio con gli Alleati: è l’8 settembre del 1943. Arnoldo Foà rimase a Napoli tre anni, qui consumò uno dei suoi quattro rocamboleschi matrimoni e continuò a lavorare per PWB, dai microfoni della quale inveiva contro i fascisti ogni volta che poteva. Foà raccontava di una Napoli che era stata riparo per le menti creative migliori della sua generazione, e così, accanto agli indigeni Francesco Rosi, Antonio Ghirelli e Raffaele La Capria si ritrovano Mario Soldati, in fuga da Roma con Dino De Laurentiis nel ’43 e che poi resta a Napoli nove mesi, lavorando pure lui in radio, per l’emittente Radio Napoli; o ancora Leo Longanesi, che arriva a Napoli nell’ottobre del 1943 e qui, insieme a Steno ed allo stesso Soldati, fa pure lui la radio antifascista, con la rubrica Stella bianca. Un ricordo speciale Foà lo dedica a Totò: “Per quanto mi riguarda m’ha fatto un complimento straordinario. Facevamo il doppiaggio di un film, non ricordo esattamente quale, e lui non rispondeva alla mia battuta. Allora dissi: “Totò, c’è qualcosa che…”. “No, lei mi fa ridere”. Rideva e quindi non riusciva a parlare”.

Dopo Napoli, ancora poco più di un sessantennio di spettacolo italiano attendeva Foà: con la compagnia dell’Eliseo di Roma, riparte con La brava gente di Irwin Shaw. Arriverà poi La luna è tramontata, l’incredibile partitura di Steinbeck diretta Vito Pandolfi, Foà in scena con l’immensa Anna Proclemer, che pure c’ha lasciati da poco. E ancora il sodalizio con Visconti, cominciato con Parenti Terribili di Jean Cocteau e finito a Londra (e male) più di un decennio dopo per via dell’ennesima freddura di Arnoldo in risposta alla richiesta di un parere (schietto, ça va sans dire) sopra la prima di Le notti bianche, il film del ’57 dal capolavoro di Dostoevskij. È ancora con Andreina Pagnani (Ma non è una cosa seria), con Lea Massari (Due in altalena), con Lea Padovani (La stanza degli ospiti). Nell’86 è, e magistralmente, Lorenzo de’ Medici in Fiorenza, unico testo per il teatro di Thomas Mann, mai rappresentato prima in Italia. E poi cinema, radio, TV, dal ’45 con Un giorno nella vita di Blasetti, e poi ancora, per poco meno di cento pellicole. Con la radio e la TV raggiunge il pubblico mainstream: Il giornalino di Gian Burrasca di Vamba, per la regia della Wertmuller con la pop star Rita Pavone nel cast; Maigret e La freccia nera con una giovanissima Loretta Goggi (1968), campione assoluto di audience. L’amore per le lettere, la poesia in particolare, si è espresso soprattutto nelle numerose letture dei classici, da Dante a Gibran, da Bambarén a Francesco d’Assisi.

Un’esperienza politica come consigliere comunale del Partito Radicale a Roma, all’alba del primo governo Berlusconi, siamo nel 1994, Foà “fugge” alle Seychelles: il grande attore amava raccontarlo come un esilio politico, sostenendo di non poteva sopportare l’idea che quelli che lo avevano oppresso cinquant’anni prima fossero di nuovo al potere. Ma nelle isole dell’Oceano Indiano il suo spirito romantico scopre una dimensione “dove l’uomo somiglia di più alla Natura” e dove la vita sboccia ogni istante. Se ne innamora, ma poi torna in Italia dove conosce e sposa, a quasi 90 anni, Anna Procaccini, allora poco più che quarantenne. Dell’ultimo matrimonio disse che lo legava alla moglie, più giovane di lui di quarantasei anni, un amore “lussurioso”: forse dentro questa lussuria senza età ed il lontano complimento di Totò ha dimorato il segreto della leggerissima longevità di quest’anima antica, perentoria, implacabilmente priva di piaggeria, spesso insopportabilmente fonda. Proprio come la sua voce.

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