Siamo d’accordo: non era le Idi di Marzo, questo Cagliari. Rimaneggiato a centrocampo (su tutte l’assenza di Cossu), spuntato in attacco (gli unici disponibili sono Larrivey e Ibarbo, a cui il Napoli ha comunque concesso gloria) e..sfortunato nel calendario. Perché beccare il Napoli di questi tempi significa senza dubbio non avere un ottimo rapporto con gli Dei del calcio. Mai visto un Napoli così, così a lungo: 5 vittorie di fila in campionato non succedevano dal ’88, dai fasti maradoniani; che diventano 6 aggiungendo la Champion’s ma facendogli un torto, poiché quella partita va da sé e vale almeno il triplo.
Il calo che il Napoli ha avuto a Gennaio, subito o quasi dopo la sosta, aveva destato allarme su più fronti; i pareggi casalinghi con bologna e cesena sono sembrati una vera e propria crepa nell’avanzare complessivo del progetto, perché arrivati quando tutto l’ambiente era convinto di dover metter in atto quella rimonta verso le prime posizioni, scalare posti e squadre e avvicinarsi ad una zona scudetto che, ad inizio anno, sembrava tutt’altro che una chimera. E invece ecco prestazioni scialbe, quella pareggite che lascia spesso più bocconi amari d’una serie di sconfitte, il terzo posto che vola via.
E poi Siena. Sì, è lì che il Napoli deve essersi ritrovato. Semi finale di coppa Italia, tifosi in massa (come sempre) al Franchi, un traguardo che non si raggiunge da anni, la squadra avversaria imbottita di riserve, i bookmaker che fanno letteralmente crollare la quota dei partenopei, e… sappiamo tutti com’è andata.
È stato lì, probabilmente, che Mazzarri ha fatto domande precise alla squadra e la squadra ha smesso di fare “sì” con la testa, alzando finalmente la voce, stringendo i pugni i più duri. Quella sconfitta al gelo contro buona parte della panchina senese deve aver ricordato ai giocatori che, oltre a fare un mestiere meraviglioso, l’anno scorso sono stati testa a testa per lo scudetto fino a pochi spiccioli dalla fine del campionato. Non ci sono dubbi sul fatto che su questa serie magica ed inequivocabile di risultati positivi ed ottime prestazione (tolta Parma) incida un lavoro fisico fatto con estrema dedizione da parte dei giocatori e con grande competenza da parte di uno staff, quello di Mazzarri, che ad oggi è unanimemente ritenuto uno dei migliori, se non il migliore, del nostro campionato. La squadra appare felice, costruisce azioni gol a raffica, è lucida per tutti i 90 minuti in quasi tutti i suoi elementi; soltanto la difesa pare doversi portare dietro qualche tara ad ogni partita. Ieri Aronica è stato agevolato da un complesso di gioco quasi perfetto, altresì Ibarbo sarebbe diventato, con merito, uno dei suoi incubi moderni. Cannavaro, il capitano col sorriso, paga sempre dazio alla concentrazione, ma nulla però impedisce di ritenerlo una pedina fondamentale dello scacchiere azzurro, per dedizione, qualità e forma fisica. C’è anche il Pocho col sorriso.
Un sorriso diverso. Molti adesso si stanno spellando le mani per osannarlo, e molti si domandano a cosa sia dovuta questa evidente trasformazione. Lo si è sempre visto sorridente e forte Lavezzi, ma dopo che sbagliava gol incredibili, quando passava la palla al suo compagno di giochi Zuniga, mentr’egli era fuori dal campo a fare riscaldamento. Uno scapestrato, come ha recentemente detto il presidente, che però alternava colpi geniali e devastanti con errori altrettanto marchiani. Non è più così, da qualche tempo. Forse è Lucarelli, come si mormora, che gli sta diligentemente spiegando alcuni trucchi; forse è Mazzarri che, in un dovuto moto d’umiltà, ha cambiato qualcosa al suo tema, arretrando Hamsik e lasciando un raggio d’azione diverso al Pocho; forse è Tomas, il piccolo figlio che un matrimonio tutto da calciatore, fatto in fasce e finito quasi come fosse dovuto, gli tiene lontano e che in quest’ultimo periodo pare avergli donato carica ed una certa stabilità emotiva. Forse è il pensiero di doversene andare, se fossero vere le voci che lo vedono già avvolto nella nebbia. Oppure è la voglia, giusta, di strappare un contratto finalmente importante, e meritarselo, senza dover mettere in moto il circo delle dichiarazioni dei suoi procuratori che alle porte di ogni estate pare mettersi in atto. Qualsiasi tra queste, o nessuna, resta che ora Lavezzi è davvero l’anima della squadra e non più soltanto uno scugnizzo osannato da vari settori dello stadio, illuminando ad oltranza.
Corre lucido, Lavezzi, e Inler sembra entrato in forma psicofisica proprio nel momento più opportuno. I rinnovi di Aronica e soprattutto di Hamsik sono un ulteriore segno di continuità, che diventano importanti per una compagine che sta letteralmente strizzando l’occhio alla storia di questo club, glorioso sì ma con traguardi raggiunti soltanto in un circoscritto lustro maradoniano.
Martedì si vola per Londra. Senza paura, col petto in fuori a mimare i 3 gol del San Paolo, attenti però a non farli diventare una forza al contrario. La partita del Milan faccia da monito. A Londra nessuno vince gratis. Niente è gratis, a questo mondo. Nemmeno questa sorta di diritto che i tifosi calorosi della Curva A sembrano pretendere. “Londra ce la meritiamo noi”, hanno scritto ieri, lasciando intendere che l’amore è un dovere, quasi più che un diritto. Ma dimenticano che il calcio è spettacolo. Dimenticano che il Napoli è di tutti, uno spettacolo democratico, l’unico per cui vale la pena discutere nei bar, difendere con gli estranei a questa fede. Ci si sente vicini a dei ragazzi che hanno visto gli spalti di Gela, Cosenza, San Benedetto, ma ciò non significa che la loro scelta esclude l’altrui amore. Questa Napoli merita di farci sorridere tutti, in qualunque modo.
Perché questo è il Napoli che ride: ieri in campo col Capitano e poi sulla panchina richiamati i due tenori, Lavezzi ed Hamsik, che sembravano indicare Zuniga con le dita, felici. Ma forse miravano Londra. Londra che già brucia.