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Per diventare grandi c’è bisogno di essere grandi. O fare finta di esserlo.

Come la maggior parte delle cose in Italia, anche quello che sembrava essere uno tsunami abbattutosi sul calcio è finito per diventare un venticello autunnale. Per i fatti di Sampdoria – Napoli (tentata combine da parte di Gianello; omissione di denuncia, secondo la ricostruzione, da parte di Cannavaro e Grava) il procuratore Palazzi ha chiesto 1 punto di penalizzazione e 100 mila euro di ammenda per la squadra azzurra, 3 anni e mezzo di squalifica per Gianello (non più tesserato col Napoli) e 9 mesi per Grava e il capitano Cannavaro. In un paese in cui la squadra più mafiosa d’Italia rivuole indietro gli scudetti cancellatigli dalla Giustizia, dove è stato accertato lo spionaggio di un calciatore da parte del suo presidente attraverso la società telefonica di sua proprietà, dove è stata acclarata passaportopoli, dove vengono rinchiusi gli arbitri nei cessi, dove un allenatore che ha militato negli ultimi anni in tutte le squadre indagate o condannate per illeciti sportivi da parte dei suoi tesserati subisce soltanto una piccola squalifica (grazie alla riduzione), al Napoli andrà tolto un punto in classifica perché “non poteva non sapere”. Cannavaro e Grava avranno la loro squalifica (probabilmente meno dei 9 mesi richiesti), Gianello aprirà un pub o si suiciderà (in entrambi i casi non pregherò per lui) e Rizzoli continuerà ad arbitrare partite di calcio. Perché qui, in questo paese, dovete sapere che l’arte più grande di tutte, la più spettacolare, la più micidiale, messa a punto sopra ogni altra è quella di cui parlava Tomasi di Lampedusa nel suo Gattopardo, il capolavoro sempiterno per spiegare al mondo i vizi di pensiero di questo paese e della gente che vi abita: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” .

Inter – Napoli è partita dura sin dall’inizio. Dove non arriva coi piedi e con la tattica, la squadra di Stramaccioni ci mette muscoli e caparbietà. Fasci di nervi tesi al servizio di un’inguardabile organizzazione di gioco che a mio parere non figurerebbe bene nemmeno addosso al Droylsden, squadra di 5 divisione inglese. Picchia duro, l’Inter. Sia per mettere in chiaro al Napoli che ci sarà da sudare, sia perché, come tradizione italiota vuole, a San Siro, con certi arbitri allineati al buon gusto formale del potere, si può subire di tutto. O quasi.

C’è da dire che tutto va come forse meglio non poteva. Pochi minuti, un calcio d’angolo di Cassano ed è ecco che al Napoli viene un attacco di calcidafermite, malattia che colpisce soltanto le squadre che arriveranno mai a vincere uno scudetto, una coppa europea. Guarin fa 1 a 0 e il clima sembra quello della semifinale col Barcellona l’anno del triplete: ci temono da queste parti, anche perché l’Inter dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, di essere squadra totalmente avulsa da un concetto di gioco. Se esistesse un termine per definire questa sorta di organizzazione tattica vorrei che mi venisse detto. Mentre guardavo la partita pensavo solo al vecchio “catenaccio e contropiede“ ma poi, riflettendoci, capivo di fare un torto a gente davvero specializzata e laureata in questa disciplina tutta italiana. Mentre l’Inter distribuiva calci e latrati verso i coniglietti partenopei, i minuti passavano. Il napoli manteneva sempre la palla senza riuscire ad affondare (2 centimetri a lato il tiro a giro di Lorenzo Insigne; altri 5 centimetri una sua conclusione SPETTACOLARE da dentro l’aria di rigore, al volo), pagando la scarsa lucidità in avanti di un Cavani comunque sempre cannibale e pronto al sacrificio, mentre l’Inter, – questa potente e rude accozzaglia di vecchi campioni e vecchie promesse in cerca di riscatto e nuovi mediocri in cerca di stipendi da tutto il globo – complice un Maggio ancora decisamente stralunato, avanzava sulla sinistra con Alvaro Pereira e approfittava delle solite e oramai noiose amnesie difensive siglando il 2 a 0 con Milito, uno che in certe sere non è che gli devi fare dei favori. Inspiegabilmente per chiunque, tranne che per i quotidiani sportivi del giorno dopo, la squadra amorfa di Stramaccioni si ritrovava sopra di due gol. Quello che è venuto dopo è stato un tiro di Cassano che ha colpito il palo esterno, 5 occasioni più o meno nitide per il Napoli, tanto brutto gioco (a mio parere per colpa di un Inter davvero in balia di un niente cosmico ) ma soprattutto 2 calci di rigore chiari come il sole e una mancata espulsione con annessa punizione a 5 millimetri dalla massima punizione. Tirando le somme arbitrali: quasi 3 rigori e 35 minuti di superiorità numerica negata. Tutto ciò senza il rischio della soggettività. Cose palesi. Di cui sì, qualcuno ha parlicchiato, pure tra noi tifosi, ma niente di incisivo. Perché qui chiediamo, a ragione, un Napoli che sia tosto. Che non sembri avere dei coma difensivi ogni qual  volta incontra una grande, che i suoi giocatori non abbassino il capo ogni qual volta si ritrovano in questi stadi dal clima di guerra – guerra di razzismo e odio sugli spalti e giustamente fisico e mentalmente sportivo, per lo più, sul campo – in cui tutte le parti in causa pensano principalmente e prima di tutto ad intimidire l’avversario. E l’arbitro. Che nel dubbio li favorirà. Cambiasso e Alvaro Pereira usano le mani in modi determinanti. Non riesco a capire, in questo caso, come la probabile involontarietà sia di conto. In entrambe le occasioni le mani dei calciatori evitano che il pallone o finisca nello specchio della porta o, come nella seconda e più incredibile circostanza, sui piedi di Mesto a 15 centimetri dalla porta di Handanovic. Niente. I grandissimi quotidiani di questo paese inneggiano alla grande impresa di nervi nerazzurra. Preoccupati di trovare, settimana dopo settimana, la rivale della Juventus, per vendere quelle 3 4 copie in più. Ma sono vecchi. Proprio come questi politici, questi dirigenti anche questi giornali coi loro giornalisti sono vecchi. E nella loro vecchiaia, mediocri. L’unica cosa che riescono ancora a fare è portare i numeri. Ma pure su questo la rete li sta rendendo inutili.

Il Napoli non ha meritato di perdere. Anche se ha perso con merito. Perché non è pronto, non ha calciatori che possono stare a due punti dallo scudetto. Nonostante questi scudetti degli ultimi anni siano stati mediocri nel loro percorso come mediocri le squadre che li hanno vinti. Il Milan di Allegri, la Juventus di Conte, persino l’Inter del triplete (stoica in Champion’s nella semifinale contro il Barcellona, arriva a vincere il campionato grazie al gol di Pazzini che all’olimpico batte con la sua Sampdoria la Roma alla terz’ultima di campionato) hanno lasciato in eredità un enorme vuoto tecnico. Sarà colpa della crisi, della migrazione dei campioni (anche se il Milan di Allegri era anche quello di Ibrahimovic e Thiago Silva), di un cambio generazionale e di un riassetto del calcio europeo tutto, ma nessuna squadra italiana ha lasciato alcuna scia. Se non proprio il Napoli. Sì, eh, questo Napoli di Mazzarri con il suo modo di affrontare la difesa a tre e di mettere in atto le ripartenze. Preso in considerazione e visionato da collaboratori di Guardiola, da quelli di Ferguson, citato dallo stesso Mourinho nonostante i rapporti un po’ aspri che egli aveva con lo stesso Mazzarri. Gli ultimi tre anni ci hanno visto 5°, 6° e 3°. Nonostante un sistema di gioco quasi impeccabile. Nonostante Cavani e Lavezzi e Hamsik (il primo valutato attualmente più di 60 milioni, il secondo venduto per 30, il terzo valutato sulla stessa cifra). Non è solo colpa dei gregari, obiettivamente non all’altezza. Non è solo colpa della gestione dei cambi durante la partita del tecnico toscano. Non è solo colpa dei mancati arrivi imputabili ad una certa confusione tencico-societaria, dove Bigon dovrebbe essere ciò che non è, e dove il Presidentissimo si arroga poteri di cui ignora le responsabilità. Non è solo colpa della mancanza di uomini che, proprio come quelli nerazzurri 2 giorni fa, ringhiano e danno calci per intimidire, per sottomettere gli avversari. È per tutto questo. E per qualche altra cosa. Credo che questa squadra sarà la più bella incompiuta degli ultimi 10 anni di calcio italiano. Forse qualcuno se ne ricorderà. Come per la Roma di Spalletti che ha avuto sì più risultati (4 secondi posti) ma aveva anche un avversario in meno (la Juventus declassata e decimata da calciopoli) e maggiori mezzi a disposizione. Cavani fra qualche anno alzerà coppe e disintegrerà record. Probabilmente Hamisk e Insigne proveranno a farlo qui fino alla fine, senza riuscirci. Ci sono gerarchie di campo (e in quelle il Napoli risulta fra i primi posti) e gerarchie complessive, che tengono conto di altri aspetti che hanno a che fare con scrivanie, poteri più o meno occulti, finanze, Storia e tutto ciò che fa di una grande squadra una squadra vincente.
Se il limite del Napoli per vincere fosse Zuniga, basterebbe disfarsene per farlo. La realtà è che l’ostacolo più grande per il Napoli è la Storia. Quello del mondo e quella del calcio.

Al Sud, qualsiasi Sud, servono epopee per innalzarsi, innalzarsi su qualsiasi Nord. A parità di mezzi, serve un Dio, un eroe. Lo sanno tutti. Questo lo sanno tutti, e lo accettano di buon grado. Poi però fingono ancora di chiedersi chi sia stato il più forte calciatore di tutti i tempi.

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