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Cinema

Festival di Roma: in concorso il trionfo del sesso gratuito con i film di Clark e Franchi

Dall’inviata

Marfa Girl. Una sceneggiatura talmente esile da ricordare una pellicola di genere erotico o pornografica.

Marfa Girl, un’altro esempio del fatto che i film peggiori sono in concorso, mentre quelli che meriterebbero di più la vittoria sono inseriti in sezioni secondarie. Il problema del film di Larry Clark è la totale assenza di una solida struttura nella sceneggiatura. Per  due ore assistiamo ad una serie di situazioni nelle quali la fa da padrone il sesso in tutte le sue forme ed espressioni, senza che accada mai veramente qualcosa. I protagonisti riflettono sul sesso, lo praticano, esternano le loro pulsioni più forti, attraverso dei ragionamenti sull’uomo e la donna che erano obsoleti già nel ’68. Marfa, in Texas, è dipinta come una sorta di Woodstock o Londra, molto improbabile. Tutto sembra essersi fermato ai decenni tutto sesso, droga e rock and roll. Ciò sarebbe lecito e anzi artistico se però la vicenda dei protagonisti raccontasse qualcosa. È stato definito racconto di formazione, ma alla fine della storia non si ha l’impressione che i protagonisti siano più o meno migliorati. Neppure il protagonista maschile, un ragazzo di 16 anni che scopre la sessualità, diventa veramente maturo dopo una serie di pratiche sessuali e di droga che in teoria dovrebbero formarlo. Il sesso non è mai veramente problematizzato, ma soltanto esibito e fine a se stesso.

E lo chiamano film!: fischi e risate in platea per il film di Paolo Franchi: E la chiamano estate.

Della sfilata di film improponibili che fanno parte della sezione Concorso della settima edizione del Roma Film Festival fa parte anche E la chiamano estate, (in alto, una scena) film di Paolo Franchi, che si dichiara film d’autore. Un’opera di nicchia, un’opera che – come ha detto lo stesso regista nell’agitata conferenza stampa – non può arrivare a tutti. La storia è quella di una coppia non convenzionale, Dino e Anna (Isabella Ferrari e Jean Marc Barr), che non hanno mai avuto un rapporto fisico. Si direbbe che il loro amore è tutto spirito. La decisione di sottrarsi all’amplesso è di lui. Come in Shame, l’uomo non riesce ad unirsi all’unica donna che ama, ma soddisfa le sue pulsioni altrove. Festini a base di sesso e droga, prostitute e altro ancora. Il film tende a problematizzare il rapporto di  coppia, con i suoi problemi, le morbosità e le perversioni, scimmiottando palesemente Eyes Wide Shut, soprattutto nella prima sequenza.

La fotografia del film è pessima, tutta sfocata, forse per creare l’effetto onirico e fuori dal tempo diacronico che si percepisce nel corso della vicenda. Come ha dichiarato lo stesso Franchi, vi è appunto una considerazione transtemporale con la reiterazione delle stesse scene o delle stesse frasi. Da un certo punto di vista ha ricordato anche il Malick degli ultimi anni. Molti monologhi, molte riflessioni e il tormento dei protagonisti che prevale su tutto. Purtroppo la mancanza di azione non permette al film di essere seguito, per non parlare poi della scarsa qualità tecnica con cui è stato girato. Forse l’unica cosa che si potrebbe salvare è l’interpretazione, ma solo per quelle poche scene in cui i personaggi non fanno sesso. Purtroppo quest’ultimo elemento depone a sfavore del film. Per quanto i contenuto possano risultare attuali e interessanti, soprattutto per quel che concerne le dinamiche di coppia, le scene di sesso sono inflazionate e fini a se stesse (il sesso in un film dovrebbe essere funzionale e mai gratuito). Si è trasformata in una pellicola grottesca, nel momento in cui la platea ha cominciato a ridere su alcune battute e scene.

Foto: Ufficio Stampa Festival Internazionale del Film di Roma

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