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Cinema

“L’intervallo” di Leonardo Di Costanzo dalla Mostra di Venezia alle sale

 

«…così un canto di sfida può essere confuso con un canto d’amore»

(dal film)

 

E’ un «dramma da camera», il film che Leonardo di Costanzo ha presentato lo scorso 4 settembre alla Mostra del Cinema di Venezia e che è ancora in programmazione al Multisala “Delle Palme” di via Vetriera 12. Il regista ischitano ha già realizzato diversi lavori per il cinema, tra cui i documentari Prove di Stato e A scuola: quest’ultimo più si avvicina al recente lavoro presentato fuori concorso alla kermesse cinematografica, perché, come L’intervallo, racconta uno spaccato della città di Napoli. Anzi, anche il titolo in verità ricorda la tematica scolastica, solo che questo film non è ambientato in una scuola. Si tratta invece di un’opera claustrofobica, che di Napoli fa vedere ben poco, solo una panoramica dal punto di vista dei due protagonisti, Veronica e Salvatore, prigionieri di un ex ospedale ormai fatiscente (l’ex ospedale psichiatrico “Leonardo Bianchi” di Calata Capodichino). Napoli non la vediamo, ma la sentiamo; la sentiamo dalle voci dei due ragazzi che, nell’arco di una giornata litigano, ridono, parlano, urlano e si confrontano.

Veronica (Francesca Riso) è prigioniera in un luogo abbandonato per un motivo che non conosciamo. Ha fatto qualcosa per meritare questa punizione; e Salvatore (Alessio Gallo)? Lui è un giovanotto di appena 17 anni che aiuta il padre con il carrettino delle granite, ma che sogna di diventare uno chef e che in questa “giornata particolare” si vede costretto a sorvegliare una prigioniera molto peperina.

Nel corso del film non ci muoviamo mai dal palazzo, al massimo percorriamo insieme ai ragazzi gli incolti giardini del luogo e il terrazzo che ci mostra il panorama partenopeo.

Restiamo legati per un’ora e mezza alla poltrona, in attesa di scoprire il motivo della prigionia e quale sarà il destino dei due ragazzi. Il film si chiude così com’è cominciato e il pubblico non ottiene giustizia. Ben presto vediamo come i due ragazzi in realtà non sono prigionieri di un luogo fisico, ma di un sistema. Un sistema dalle fondamenta purtroppo solide, che a differenza di quelle di un vecchio edificio, non sono allagate.

Il film si avvale di una scrittura forse un po’ grezza, che lo fa quasi somigliare ad un cortometraggio o ad un’opera prima. La splendida fotografia è invece curata da uno dei grandi del cinema italiano, Luca Bigazzi e ciò rende ancora più piacevole la visione di questo film autentico e sincero.

Photo © Michela Iaccarino: il cast al Festival di Venezia 2012 (Francesca Riso; Carmine Paternoster).

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