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Impressioni di Settembre. Di Lorenzo e qualche altro sogno.

Era troppo facile. Il Napoli che mostra i muscoli a Palermo e arguzia nelle sabbie mobili di un San Paolo osceno contro la fiorentina, non poteva temere la provincia del calcio, sebbene palesatasi in un parma un po’ arruffone ma combattivo e pericoloso quando riusciva a spingersi in attacco; complici anche alcune amnesie di recente memoria della compagine di Mazzarri. Scivola via la banda di Donadoni, sotto un Hamsik sontuoso, presa di mira da un Pandev che fa l’elastico fra la sua infinita classe ed il suo fisico  che sembra tarato per un’oraebasta, avvilito da un Cavani probabilmente stanco e perciò impreciso come ai tempi della trinacria. Per poter dire qualcosa del Napoli 2012/2013 targato Mazzarri, dovremmo partire dall’Estate: a Lavezzi viene finalmente permesso di andare via. Atterra in sordina ai piedi della Torre mentre molti tifosi gli dicono addio e sperano in un nuovo Masaniello. Arrivano Behrami, Gamberini, Mesto. Non proprio tre condottieri. Sono percepite, a ragione, malamente le intenzioni del Dela,  che intanto continua a battibeccare con tutti gli organi del calcio nostrano, glissando su degli eventuali grandi acquisti. Cavani da lontano sembra ripercorrere le estati lavezziane , Mazzarri ci ricorda che potrebbe andarsene da un momento all’altro, lo spread è alle stelle, la Minetti annuncia di voler girare un porno…

In questa cloaca poco avvincente, ecco venir fuori, piccola com’è lui, la sagoma dello scugnizzo. Torna a casa, Lorenzo Insigne da Frattamaggiore, dopo una stagione roboante a Pescara con Zeman. Eccolo il nostro Che Guevara da campi verdi. Ecco la luce che riflette la nostra voglia di Mito. Veloce con i piedi, appare freddo e con spalle forti da poter sorreggere qualsiasi curva B. La rete se ne bea, spuntano i video e non solo dei suoi gol: il suo primo obiettivo e sogno, è segnare “a’ juv’”, detto fra i denti, come noi napoletani amiamo gestire le cose. Fra i denti. Escono rumori, dalla sua bocca, che noi sappiamo e vogliamo interpretare. “vogl’ a posc’”, diceva un anno fa alla corte di Zeman, mentre inventava gol e assist come fossero facili scarabocchi da bambino. Gli orfani di Lavezzi lo hanno adottato sin da subito. Ma anche chi, come me, non ha mai attestato a quella maschera triste argentina il ruolo di condottiero, ha subito adottato l’odore piacevole del vessillo partenopeo. Perché se il calcio è malato, se gli sceicchi vogliono farne l’ennesimo Harem, se squadre nuove e senza tradizione credono bene di mettere su album di figurine, allora noi qui vogliamo tornare all’inizio. Alle bandiere. Al senso di appartenenza. Devo ammetterlo: baratterei vittorie borghesi con sconfitte popolari, ma lottate, sofferte, perché no: lacrime. Non si tratta mica di non accettare il meltin’ pot che di cui il calcio è fatto. Si tratta di capire che una vittoria dura il tempo che dura, in questo calcio, in questo mondo così veloce, che ogni Settembre sembra un anno Zero. Allora vincere o perdere, non sarà mai come lottare. Come avvertire che chi è “laggiù”, è proprio come chi è “quassù”. E fanculo i milioni di Euro. Non saprei manco che farne, di milioni di Euro. Avrei ansie, paure nei rapporti umani, mi farei fottere da tutti. Che li abbiano loro, i milioni di Euro, che li meritino o meno. Ma datemi 11 Lorenzo. Qualcuno a cui potermi veramente affidare. Che faccia magia o cicchi la sfera. Qualcuno che parla coi rumori, che gesticola pure quando è solo. Concediamo a questo grosso conduttore di speranze che è il calcio, di essere lo specchio – e come ogni specchio, deformarsi all’occorrenza – di questa nostra grande città, lacerata, miscredente, sgangherata, epica.

Appena entrato fa gol. Proprio sotto la B. Una rasoiata senza indugi, pensata attimi prima che la palla di Pandev giungesse perfetta fra i piedi da cenerentola. Da casa vedo il suo primo piano in alta definizione: dito in bocca, come “i grandi”, perché lui bimbo aspetta un bimbo; gli occhi patinati di dolci lacrime, l’espressione spartana e moderna insieme. Sembrava ripetere a me e a tutti la stessa cosa: “je ‘cca abbasce, so’ comm’ e vuie’ ‘lla ‘ncopp’ ”.

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