Ha scritto così Fabrizia Argentieri, giornalista su Il Tempo: “Però sognare è lecito. Persino ai napoletani. Un popolo costretto a soffrire. La disoccupazione e la camorra. E andando a ritroso nella storia la fame, il colera, la carestia, l’occupazione nazista e quella alleata, la dominazione straniera. È per questo che i napoletani festeggiano tanto. A loro, popolo di straccioni, basta aver stracciato per una sera i ricchi e blasonati inglesi dell’aristocratico quartiere londinese di Chelsea. Basta aver annientato l’ivoriano Drogba, uno al quale sono stati offerti 23 milioni a stagione, una cifra con la quale ci si paga tutto il Napoli per un anno. Aver visto svanire Cole e Lampard, Essien e Sturridge. Insomma, basta aver goduto una notte. Perché solo di notte i sogni si possono avverare”.
È importante. È importante ricordarsi da dove si viene. Che sia la verde Melbourne, la romantica Parigi, la chiassosa Hong Kong, l’inguaribile Napoli o l’eterna Roma. Sono importanti le radici di un popolo, esse possono aiutarci a capire alcuni comportamenti, taluni vizi e persino delle sporadiche virtù.
M’immagino una signora Argentieri in tunica, che porta vino, che porta amore nelle stanze di marmo dei senatori. O che magari cresce figli discoli in una casa di pietra aspettando di preparare la cena ad un marito che prova a sottrarsi alla miseria di un lavoro onesto, immerso in una cultura corrotta, acerba, futurista. Varrebbe per tutti il gioco mediante il quale si può parlare di una popolazione, di un’intera stirpe, citando cliché un po’ retrò e momenti funesti, leciti nel corso della storia di qualsiasi nazione, popolo, città, cultura. Giulio Cesare ucciso da Bruto. Nerone che canta al balcone. La società dei magnaccioni. Alemanno con più familiari sistemati in vari posti di potere, dei mesi in carica come sindaco.
Ma questa non è la guerra. Nessuna Roma ladrona. Quando ieri tutto lo stadio tributava un’ovazione all’uscita dal campo del Pocho, sono convinto che nessuno pensava al fatto di stare surclassando una potenza del nord. Nel calcio c’è una sola favola che regge: quella di Davide contro Golia. Perché quando vedi Golia contro Golia di sabato sera prendersi a schiaffi e urla, additandosi reciprocamente su chi abbia più poteri occulti al di fuori del rettangolo verde, allora capisci che non c’è bisogno di prenderla come una guerra. Per vincere devi accettare la farsa, e noi in questo catino fatiscente, non ci stiamo. Siamo già troppo teatranti, muoviamo le mani quando parliamo, usiamo un dialetto con delle onomatopee uniche al mondo. Noi vogliamo le gioie sul campo verde. Vogliamo sentirci uniti. Dimenticare di tutta quella gente che infanga quotidianamente la nostra semplicità rumorosa, il nostro coraggio nell’andare avanti nonostante alcune di quelle cose di cui parla l’Argentieri.
Mica te le scegli, le malattie! Mica ti svegli, e dici “no, questo cancro lo voglio benigno. Il diabete ok, ma tranne la domenica, che c’è da mangiare per almeno 4 ore.”
E non ti scegli nemmeno gli eroi. Di quelli che hanno vinto ancora, ieri. Con un primo tempo fatto di pressing alto e una discreta lucidità, provando a disinnescare i pur deleteri fumi dell’impresa di qualche giorno fa. E invece il Napoli mi ha persino stupito. Non per la vittoria, quella me l’aspettavo, ma per come è arrivata. Niente sfuriate, niente balletti, niente Cavani che annienta difensori e altrui speranze. Il Pocho. Un folletto alla moda che ora dicono essere al pari dei vari padroni dell’olimpo: incisivo come Messi, se continua a segnare così vale quanto Cristiano Ronaldo. Questo dicono di lui. E forse se lo merita. Io so che quello scugnizzo di Villa Gobernador Gàlvez non si tira mai indietro quando c’è da lottare; che abbassa il capo, timido com’è, e ride come un ragazzino che ha appena guardato le cosce della maestra, quando gli si chiede di Napoli, di quanto è forte, se sente di avere sulle spalle il peso che tempo fa qui portava gente come Maradona.
Pressing e sapienza, ieri il Napoli. Regolarità ed estro. Attenzione e caparbietà. Zuniga seducente, Maggio un vero Kamikaze al cospetto di Nagatomo, Lavezzi disorienta Faraoni, prima che Ranieri corra ai ripari il secondo tempo, passando al più logico 4-4-2 provando ad arginare le fasce di un Napoli mai stizzito ma mai domo.
E poi la magia. Il 60esimo minuto. Un Dzemaili finalmente determinante, in una partita in cui fa da Hamsik al quadrato, ruba palla, scarta secco un avversario tramortito e la offre in caduta al Pocho: parabola sopraffina che sembra teleguidata, tiro di biliardo non annunciato, palla in buca.
Prova qualcosa, il Titanic nerazzurro, ma sono finiti gli sfarzi. C’è da guardare la nave affondare, e di certo le acque del San Paolo contengono tanti iceberg quanto l’oceano. Un colpo in canna ci sarebbe pure, ma a quest’Inter non pare andar bene quest’anno, e di certo la ritrovata compagine di Mazzarri non avrebbe meritato una doccia così fredda.
Progetti per il futuro: arrivare ai quarti di finale. Superare il Siena e riportare questa Juventus sulla terra. 5 punti dal 3° posto. Udinese e Lazio sono avvertite.
Tra le tante oscenità scritte dalla signora Argentieri, su di una non si può proprio essere in contrasto: siamo un popolo di sognatori.