Analizzare il senso della moda di noi napoletani manderebbe in crisi il più abile sociologo, a prima vista sembrerebbe di guardare un televisore in tilt che trasmette contemporaneamente mille programmi, passando dalle donnine medio-borghesi che sembrano voler emulare le protagoniste di Sex And The City, a quelle che, a primo acchito, paiono il cast di Jersey Shore, contornate da ragazzi perennemente abbronzati, pelle curata e fisici statuari, vestiti come se esistesse un solo unico negozio d’abbigliamento, e da tipi, a detta loro, “alternativi” o “radical chic”.
Il tutto si mescola così fastidiosamente bene da sembrare scritto da qualche divinità pagana.
Qui gli abiti dicono di che zona sei o in che zona bazzichi, come se ogni luogo si fosse aggiudicato una precisa corrente di vestiario. Dati i tempi duri, caratterizzati dalla “crisi-fobia” lo shopping per sé stessi è ritenuto un lusso tale da darci sensi di colpa. Rincorriamo saldi ed offerte, facciamo file fuori ai grandi store low cost e mettiamo da parte la qualità per risparmiare liquidità, ma, ovvietà, il risparmio non è mai guadagno.
E se oggi la raffinatezza dei capi è solo un ricordo, vestiamoci di ricordi. La tendenza che salverà il futuro vien proprio dal passato, letteralmente, ed è denominata vintage. Questa parola ormai risuona in ogni dove, spesso utilizzata in modo erroneo, spesso pronunciata ridondantemente, l’etimologia della stessa proviene dalla fonetica anglo-francese e vuol dire “vendemmia”. Questo fenomeno, infatti, ripropone abiti d’annata, come un buon vino.
In tutto il mondo mercatini e negozi dell’usato cominciano ad avere l’importanza delle boutique patinate dei grandi nomi della moda. Londra ha Portobello Road, Little O a New York e Paper Bag Princess e Touched a Los Angeles, il Cameo Vintage e Jacassi a Milano.
A Napoli le fashioniste iniziano a mescolare Gucci con capi appartenuti a nonne e zie, gli artigiani rispolverano i vecchi cartamodelli ed i calzolai utilizzano pellami e materiali ormai prossimi ad esser cestinati, così ci salviamo tutti, possiamo distinguerci senza dissanguarci.
La cornice perfetta per il vintage partenopeo è diventata il centro storico, in special modo la zona universitaria, dove si sono stanziati negozietti che espongono gemme preziose d’altri tempi per tutte le tasche. Degni di nota sono Frendo, Oblomova e DADA Vintage, quest’ultimo ha capi particolarmente ricercati, in ottime condizioni e miscela abilmente maxi-pull anni ottanta con abiti d’alta moda firmati dagli dei della moda.
Consiglio, però, di darsi al vintage a piccole dosi, non tuffarvici a capofitto, iniziare magari con qualche accessorio o aggiungendo un capo d’annata a qualcosa di moderno o addirittura futuristico in modo da creare uno stile che vada oltre ai cliché di passato, presente e futuro.
Inoltre va tenuto a mente che ad ogni decennio, più o meno, corrisponde un determinato canone di bellezza, riderete indossando il vostro primo capo con le spalline e vi sentirete inadeguate se strizzate in un tubino anni cinquanta. I genitori saranno esterrefatti all’idea che voi indossiate qualcosa che loro han gettato prima che nasceste.
Forse il vintage salverà la moda, per antonomasia il campo in cui c’è la più breve scadenza, il passato rivestirà il nostro futuro? Riscopriremo capi dei tempi che hanno segnato la massima creatività degli stilisti, di epoche in cui non era tutto stantio prima ancora di essere immesso sul mercato. La qualità di ieri scarterà la quantità di oggi.
Mentre scrivo, noto una ragazza con indosso una petit-gris anni settanta, con sotto una canottiera nera dei jeans attillati, ai piedi calza delle Dr. Martens AirWair 1460 e mi rendo conto che il passato c’è e monopolizzerà l’incerto, ma prossimo, futuro.