Con un ritardo imperdonabile, ho appreso della scomparsa di Radu Beligan, tra i più grandi attori della scena europea del XX secolo, il luglio scorso. Beligan, nato nel 1918 a Galbeni, vicino Bacău (Romania), è stato un artista immenso, in teatro, cinema, televisione e radio, un mostro sacro, operativo sino all’ultimo, nonostante l’età, tanto da essere definito nel 2013 “l’attore più anziano ancora in attività”.
Non ho avuto modo di conoscere personalmente Beligan (ho conosciuto invece Grigore Gonta, che lo diresse nel 1998 nel teatrale Nome della rosa al Teatro nazionale di Bucarest, spettacolo cui ho dedicato un libricino), ma di apprezzarlo attraverso le sue performance, le sue interviste e le sue memorie.
Perché lo voglio ricordare qui? Nella sua sconfinata carriera che va dai primi passi mossi con Ionesco alla messa in scena di tutti i più grandi autori, Beligan è stato anche grande interprete di Eduardo De Filippo. Eduardo è sempre stato molto apprezzato in Romania, basti pensare all’interpretazione di De Pretore Vincenzo o di Pericolosamente di un altro gigante come Toma Caragiu (morto nel terremoto di Bucarest del 1977).
Beligan non poteva che vestire i panni, nel 1981, di Domenico Soriano nella Filumena Marturano per la regia, femminile, di Anca Ovanez Doroșenco. Una interpretazione splendida e difficile, se si considera anche il tema del testo di De Filippo e il contesto sociale e storico della Romania dell’epoca (si pensi alla politica di Ceausescu su gravidanze e aborto).