Basato sul romanzo capolavoro di Franz Werfel, Ricordi del Mussa Dagh, adattato da Armando Rotondi, è il primo appuntamento della rassegna teatrale “Ad Est del Mondo”, in scena il 29 novembre al Teatro Il Primo (Napoli). La rassegna, curata da Armando Rotondi e Stefano Russo, vuole portare in scena, attraverso reading artistici e monologhi, storie dai possibili “Est” del mondo (non solo geografico), focalizzando l’attenzione sul conflitto tra Occidente e Oriente, memoria e oblia, passato e contemporaneo.
Nello specifico, Ricordi del Mussa Dagh illustra il piano turco di deportazione e sterminio della popolazione cristiana armena realizzata da turchi e curdi nel 1915 e di come un gruppo di sette villaggi armeni situati alla base del monte Mussa Dagh, circa 5000 persone, decidessero di opporsi con le armi allo sterminio e di come riuscirono, asserragliati sul monte, a resistere agli assalti turchi per 40 giorni prima di essere salvati da una nave da guerra francese, che, casualmente, transitava per il golfo di Antiochia. Lo spettacolo gode del patrocinio dell’Ambasciata di Armenia in Italia, della Comunità Armena, del Forum Austriaco di Cultura e del Goethe-Institut di Napoli ed è nell’ambito delle manifestazioni per il centenario del genocidio degli armeni.
L’attore Vincenzo Liguori dà vita e voce al protagonista Gabriele nella sua presa di coscienza e di ricsoperta delle sue radici, sino al lottare senza tregua per il suo popolo, e a due protagonisti della Storia: Giovanni Lepsius ed Enver Pascià
Intervistiamo Vincenzo Liguori per “Effetto Napoli”
Quali sono gli elementi che lei considera di maggiore interesse nel testo?
Ci sono tre concetti che hanno attirato particolarmente la mia attenzione e che racchiudono il significato profondo di tutto il testo: “Io non voglio vivere, voglio avere un valore”, “L’uomo non sa chi è prima di essere stato messo alla prova” e “È possibile con un colpo di penna trapiantare un popolo di uomini civili nel deserto e nella steppa della Mesopotamia?”
Sono partito da qui per capire l’enorme forza di volontà e lo spirito di sacrificio che caratterizza Gabriele Bagaradian, un uomo borghese che decide di tornare alla vecchia casa di suo nonno dopo ventitré anni di Europa, di Parigi!
Come lui stesso li definisce: ventitré anni di completa assimilazione!
Come ha pensato di costruire il suo reading?
Il testo, grazie all’adattamento di Armando Rotondi, offre già una struttura ben definita che mi ha agevolato nello sviluppo della messinscena che si articola in tre parti.
In una prima parte viene mostrato l’avvicinamento spirituale del protagonista al suo popolo.
In una seconda è descritta la battaglia dei quaranta giorni del Mussa Dagh ed infine un intermezzo racconta l’incontro storico tra Giovanni Lepsius ed Enver Pascià.
Il protagonista compirà un duplice viaggio, parallelamente. Quello di ritorno verso casa, di avvicinamento al suo popolo e la Resistenza sulla cima della Montagna restituito attraverso la narrazione e quello etico in cui ritorna dall’Aldilà per raccontare ai vivi la sua personale vicenda, simbolicamente rappresentato da un tulle divisorio.
Cos’è che, secondo lei, vuole trasmettere lo spettacolo allo spettatore?
Stiamo parlando di terre in cui l’Uomo perpetua le sue guerre da secoli utilizzando qualsiasi tipo di mezzo pur di accaparrarsi le risorse naturali ed occupare quei territori.
Questo spettacolo vuole trasmettere allo spettatore la consapevolezza che al giorno d’oggi c’è bisogno di Condivisione e di rispetto per la Vita. E’ l’unione, il valore delle persone, la speranza, il rispetto dell’altro a renderci umani e non l’ostentata ricerca della felicità attraverso dinamiche geopolitiche che tendono esclusivamente ad isolarci e a chiudere gli occhi su quello che è, solo in termini di distanza chilometrica, lontano da noi.
Il teatro è resistenza civile, culturale e sociale. Come vede lei il teatro?
Il teatro è un gioco serio.
E come tutti i giochi seri ha bisogno di regole, di obiettivi da raggiungere e perché no anche di eventuali premi.
Tappa fondamentale del percorso verso l’Obiettivo è il fermarsi.
Attualmente mi trovo in un periodo della mia vita in cui scelgo di andare in scena se, dentro di me, c’è qualcosa che ha urgenza di uscire fuori e oggi più che mai sento la necessità di Resistere, quotidianamente, contro l’arte dei burattini, meravigliosamente eseguita dai Signori (sempre meno) Invisibili, e il malessere psicologico di noi Esseri Umani, sempre più Esseri e sempre meno Umani.
Come si è formato e che background attoriale ha?
La mia formazione teatrale nasce sulle tavole di una compagnia locale di Scafati (SA). Contemporaneamente porto a termine la laurea Specialistica in Informatica con successivo master in Telecom Italia. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Decisi di tornare a casa.
Da lì, Laboratori di Espressione Corporea tra Torino e Torre Annunziata, Trienno di studi al Teatro Elicantropo di Napoli diretto da Carlo Cerciello, workshop: Centro Sperimentale di Cinematografia con Alessio di Clemente; Centro Teatrale Umbro con Michele Monetta; Milano Film Academy con Luca Ward; Il Pellicano, studio sul testo di A.Strindberg con Orlando Cinque; I ciechi di Maeterlinck con Massimo Finelli; e altri…
A teatro: Fesserie, uno spettacolo Inedito del 2013, (Rif. Puracultura, Anno 1, numero 14); Signurì Signurì di Enzo Moscato al Teatro Elicantropo. Sono due spettacoli a cui tengo molto e a cui ho dato tanto.
Progetti per il futuro?
Per il futuro immediato c’è in programma un bellissimo spettacolo diretto da Carlo Cerciello con Omar Suleiman e Imma Villa dal titolo Il Cielo di Palestina che provoca dentro di me un groviglio di emozioni da dover analizzare, sciogliere e rendere al pubblico.
Inoltre sto portando avanti un percorso teatrale con un gruppo di Immigrati che hanno la forza e la volontà di apprendere nonostante siano in uno stato di guerra perenne.
Poi, se tutto va come deve andare, vorrei creare una mia associazione che mi dia stimoli sempre nuovi e che mi faccia ripartire ogni volta da zero, con un nuovo testo, con nuove idee e magari iniziando proprio da casa mia.